Il loro ruolo è stato impropriamente definito un “contributo”, eppure la partecipazione femminile nella Resistenza Italiana è stata di fondamentale importanza.
Hanno lasciato i focolari, le gonne, i rosari, i doveri materni ed hanno imbracciato le armi unendosi alla lotta partigiana, qualcuna di loro è stata anche nominata comandante di brigata. Hanno partecipato da protagoniste a quella lotta armata combattuta tra i boschi e le montagne, ma anche quella lotta fatta di gesti meno eclatanti, eppure altrettanto importanti. Fanno le staffette, si prendono cura dei feriti, danno rifugio nelle proprie case ai partigiani, raccolgono cibo, armi e vestiti per i partigiani nascosti.
In alcune città vi era proprio una rete di donne sarte che si occupavano di preparare l’abbigliamento per l’inverno, di rammendare giubbe e calzoni. Eppure delle donne partigiane si è parlato sempre meno rispetto agli uomini, sempre un passo indietro, seppur abbiano avuto un ruolo fondamentale nella cacciata del nazi-fascismo dalla penisola italica e nella ricostruzione del nostro martoriato paese.
Una Resistenza “taciuta”, ma dai numeri eloquenti: secondo i dati ufficiali dell’epoca le donne partigiane sono state 35mila e le stime successive parlano di almeno 2 milioni di donne coinvolte nella Resistenza. Nei cortei del ’45, però, se ne vedono poche. La resistenza delle donne non è stata uguale a quella degli uomini e per molto tempo è rimasta avvolta nel silenzio.
Dopo l’armistizio dell’8 settembre ’43 l’Italia si spezza in due e il ruolo della donna cambia profondamente. L’armistizio è snodo fondamentale che cambia il contesto della guerra, lo scontro tra l’esercito tedesco e quello americano, che risale lentamente la penisola, travolge la popolazione di campagne e città che è composta prevalentemente da donne che hanno assunto il ruolo di capofamiglia mentre gli uomini erano al fronte. Esse danno spontaneamente soccorso spontaneo a prigionieri e militari allo sbando dopo che il re è fuggito dalla capitale. E’ il primo gesto di Resistenza al femminile.
E’ la guerra civile. Una guerra divenuta fratricida che vede combattere l’uno contro l’altro coloro che hanno deciso di restare al fianco dei tedeschi e della Repubblica di Salò e quelli che hanno preso la via della resistenza. Il ruolo delle donne diventa fondamentale. Alcune partigiane impugnano le armi e prendono parte ai combattimenti, le operaie boicottano la produzione bellica e fomentarono scioperi, molte altre hanno dato rifugio ed aiutato nella fuga antifascisti ed ebrei. Una molteplicità di attività femminili che squarcia e dissolve quell’immagine stereotipata cui l’aveva relegata la dittatura fascista: solida nel corpo e nella mente, nutrice dei figli dell’Italia fascista, angelo del focolare sottomesso al maschio lavoratore e guerriero.
Il 4 giugno 1944 gli Alleati liberano Roma, poi anche Firenze. Ai partigiani la vittoria sembra ormai vicina, ma il fronte tedesco si assesta lungo la linea Gotica che va da Rimini a Pisa. Il Nord resta sotto il controllo nazifascista. Le bande partigiane mutano e si trasformano in un vero e proprio esercito, mentre rastrellamenti e rappresaglie contro i civili colpiscono a tappeto tutta la zona. Le staffette, con le loro borse piene di vettovaglie ed armi, diventano fondamentali per i combattenti nascosti nelle montagne. Le testimonianze di chi è stata catturata raccontano di torture e sevizie perpetrate per giorni interi.
26 aprile 1945, il CLN assume i poteri civili nel Nord, i nazifascisti in fuga, Bologna e Milano libere; tre giorni dopo i tedeschi firmano la resa. E’ la fine dell’occupazione. Le Brigate partigiane sfilano in corteo, ma tra essi poche sono le donne, sebbene abbiano partecipato alla Resistenza. Alle partigiane torinesi della Brigata Garibaldi fu impedito di sfilare dal P.C.I. perché “ci tiene ad accreditarsi come forza rispettabile”, in altre città sono i capi-brigata a consigliare di non sfilare. Chi lo ha fatto si è sentita dare anche della “puttana” dalla folla.
Per anni il discorso della Resistenza è stato declinato esclusivamente al maschile, infarcito di retorica, basato unicamente sul combattimento, escludendo di fatto le donne.
Perché le donne non hanno rivendicato il ruolo di primo piano che hanno avuto? La risposta è nella testimonianza semplice e schietta di una di esse: “Non eravamo né delle fanatiche, né donne col coltello in bocca come si è detto. Eravamo brave donne di famiglia con mariti, figli e fratelli in guerra. Ci siamo sentite in dovere di salvare la casa e tutto quello che era salvabile”.
Il loro contributo alla Resistenza fu vissuto come un fatto naturale, una scelta ovvia. Hanno vissuto rischi inenarrabili con la consapevolezza di combattere per una causa giusta. Il diritto al voto conseguito nell’immediato dopoguerra è il frutto più maturo di quella Resistenza.