scritto da Fabrizio Prisco - 05 Dicembre 2018 11:15

100X100 Cavese di Fabrizio Prisco: Il soldato e la Vecchia Signora

Il locomotore abbandonò lentamente la stazione di Roma Termini, puntando le carrozze in direzione Sud. Vincenzo sistemò il bagaglio di fronte al suo sedile e si accomodò. Era esausto, e non era ancora arrivato a casa. Era partito la mattina presto da Cremona. Il tempo di ritirare la licenza straordinaria in fureria e poi di corsa a prendere il primo convoglio utile per raggiungere Cava de’ Tirreni.

Tra ritardi e coincidenze saltate, aveva cambiato già tre treni, tutti regionali: Cremona-Fidenza, Fidenza-Parma, Parma-Roma. Questo era il quarto: l’intercity diretto in Sicilia era pieno zeppo di emigranti che tornavano giù per trascorrere il fine settimana o di vacanzieri rumorosi che non vedevano l’ora di fare qualche bagno a mare, nonostante l’estate fosse agli sgoccioli.

Il sole non era più alto nel cielo, come all’inizio del viaggio, ma faceva ancora un gran caldo. Fortunatamente non c’era tanta gente nel suo scompartimento. Una coppia di mezza età parlava a bassa voce del più e del meno; una anziana signora recitava le preghiere, scorrendo tra le dita i grani del Rosario. E ti pareva, pensò Vincenzo tra sé e sé. Non capita mai di viaggiare con una bella ragazza tutta sola, con la quale è possibile attaccare bottone. Tirò allora fuori dal borsone verde militare l’edizione di “Stampa Sera” che aveva preso in edicola alla stazione Termini, e si immerse nella lettura. Senza perdere tempo, si fiondò sulle pagine sportive dell’edizione pomeridiana del quotidiano torinese.

“Tutto pronto per l’esordio in Coppa della Juventus”. “Contro il Rimini il Trap lancia la coppia Bettega-Virdis”. “Al Romeo Neri si va verso il tutto esaurito”. “Esordio a Perugia per il Torino di Giacomini”. Erano questi i principali titoli d’apertura dello sport, tutti dedicati alla prima partita di Coppa Italia della Juventus, in programma a Rimini domenica sera 23 agosto 1981.

Il campionato di serie A sarebbe iniziato solamente a metà settembre, le attenzioni di tifosi e addetti ai lavori per ora erano completamente rivolte alla manifestazione tricolore.
– Tiene anche lei per la Juve?
Vincenzo alzò la testa dal giornale. Il signore di mezza età ce l’aveva con lui. Evidentemente aveva finito di parlare con la moglie e voleva avviare una conversazione.
– Simpatizzo per la Juve, sì. Sa, ho vissuto per sette anni a Torino, nei pressi di Piazza Vittorio, all’ombra della Mole e della Gran Madre. Mio padre lavorava in Fiat. Poi siamo tornati giù perché non ci piaceva il clima, e forse perché non ci eravamo mai ambientati.
– Da dove viene?
– Cava de’ Tirreni. Conosce?
– Certo, come no. La Cavese! Avete vinto il campionato e siete stati promossi per la prima volta in B, vero? Mercoledì prossimo andrà a vedere la partita con la Juve, non è così?
– Esatto. Sto facendo il militare a Cremona: dopo il CAR a Chieti sono stato assegnato alla Caserma “Manfredini”, 4° Reggimento Artiglieria Missili Contraerei. Sono partito a novembre. Ormai non mi manca molto. Ho chiesto la licenza straordinaria per Cavese-Juventus. Una partita così importante non si può perdere per nessun motivo al mondo.
– E lo credo! Per chi farà il tifo?
– Che domande… Per la squadra della mia città. Per la Cavese, naturalmente!
– Mi dispiace interrompervi, ma siamo quasi a Latina. Dobbiamo prepararci…
Proprio mentre la chiacchierata si stava facendo interessante, la moglie del signore di mezza età era intervenuta a gamba tesa con la stessa determinazione di Claudio Gentile, il forte difensore della Juve e della Nazionale.
– Hai ragione, Maria. – le rispose con garbo il marito – Avviamoci per tempo nel corridoio, così saremo tra i primi a scendere. Il treno non si ferma a lungo. Buon viaggio, giovanotto. In bocca al lupo per il servizio militare e per la sua Cavese!
– Grazie mille! Buona serata…
Quando il treno ripartì da Latina, Vincenzo rimase solo con l’anziana signora che non aveva mai smesso di recitare le sue giaculatorie. Riprese tra le mani il giornale e iniziò a sfogliarlo distrattamente dalla prima pagina. Era sempre più stanco, non vedeva l’ora di arrivare a casa e di riabbracciare i genitori. La mente cominciò a spaziare e in un attimo si riempì di ricordi e di pensieri, quasi tutti legati al pallone.

D’altra parte per un ragazzo di 18 anni, che va a fare il soldato dopo aver terminato le scuole superiori, e che ancora deve capire cosa fare nella vita, una semplice sfida di Coppa Italia può avere un valore particolare. Ci può stare. Ma la cosa fuori dal comune era che quell’incontro di calcio rischiava di mandare in fibrillazione il giovane militare di leva: Cavese-Juventus per lui non era una partita come tutte le altre.

Ora vi spiego perché.
Vincenzo aveva risposto alla chiamata alle armi nel novembre del 1980, pochi giorni prima della tremenda scossa di terremoto che aveva sconvolto l’Irpinia e che aveva portato morte e devastazione anche nella valle metelliana. Aveva potuto seguire solamente a distanza la splendida cavalcata della Cavese di Santin che era stata promossa in serie B il 7 giugno 1981, battendo il Cosenza per 3-1 sul neutro di Frosinone. Ogni maledetta domenica Vincenzo riceveva una pugnalata. Quando nel 1977 era tornato da Torino con la sua famiglia, non aveva perso una sola partita casalinga della Cavese. Aveva cominciato a seguire la squadra di Pietro Fontana, poi si era appassionato al “gioco corto” di Corrado Viciani; con Santin gli Aquilotti avevano raggiunto un traguardo inimmaginabile fino a qualche anno prima.

Cava sognava ad occhi aperti grazie alle imprese dei suoi eroi in maglia biancoblù, ma Vincenzo soffriva da lontano e si rammaricava ogni volta di non essere insieme ai suoi amici sugli spalti del Comunale.

A Cremona, a quell’epoca, l’unico modo per conoscere il risultato degli Aquilotti era ascoltare alla radiolina il resoconto della serie C che “Tutto il calcio minuto per minuto” trasmetteva tra il primo e il secondo tempo e alla fine delle partite. Pensate che una volta, il 1 febbraio 1981, la Cavese aveva vinto a Livorno per 2-1, in virtù delle reti di De Tommasi e Canzanese, ma alla radio avevano detto erroneamente che erano stati i toscani ad avere la meglio per 2-1. Quando ci fu l’inaspettata rettifica, a Vincenzo venne quasi un colpo.

I biancoblù, per la prima volta nella loro storia erano in serie B, e lui non si era potuto godere i festeggiamenti che per le strade avevano coinvolto grandi e piccini, sportivi e gente comune che con il calcio non aveva nulla a che vedere. Ora, in attesa dell’inizio del campionato cadetto, il sorteggio della Coppa Italia aveva regalato alla matricola Cavese, inserita nello stesso girone di Juventus, Rimini, Torino e Perugia, la possibilità di misurarsi addirittura con i Campioni d’Italia di Trapattoni e con i granata di Giacomini. Nella prima giornata, domenica 23 agosto 1981, con la Juve di scena a Rimini e il Torino impegnato a Perugia, gli uomini di Santin avrebbero riposato. Ma nella seconda giornata, in programma il mercoledì successivo, la Cavese avrebbe incrociato i tacchetti in una gara ufficiale per la prima volta nella sua storia con la Vecchia Signora.

Vincenzo e tutto il popolo metelliano non stavano nella pelle. Peccato solo che la partita non si sarebbe disputata a Cava. Dopo gli incidenti di Campobasso, il Comunale di via Mazzini era stato squalificato per cinque turni. Per ospitare la gara con la Juventus era stato scelto il nuovo stadio di Benevento, costruito in località Santa Colomba dalla ditta edile di Costantino Rozzi, il presidente dell’Ascoli, ed inaugurato un paio di anni prima. Certo, sarebbe stata ugualmente una festa. Ma con un pizzico di amaro in bocca.
Il treno giunse a Salerno con una ventina di minuti di ritardo. Vincenzo augurò buon proseguimento alla signora delle orazioni e ai viaggiatori che nel frattempo erano entrati nel suo scompartimento, e scese dalla vettura.

Ormai era quasi fatta. Bisognava trovare l’autobus che lo avrebbe riportato a Cava, ma considerando che non erano ancora le dieci di sera, era probabile che non avrebbe aspettato a lungo all’uscita della stazione o, al massimo, alla prima fermata utile sul lungomare. Aveva il cuore in subbuglio. Mancava da casa da un bel po’. Aveva proprio voglia di rivedere i suoi genitori, e tutti quelli a cui voleva bene. Quando la corriera, risalendo da Molina, superò il cartello con la scritta “Cava de’ Tirreni”, tirò finalmente un sospiro di sollievo. Anche questa volta il “viaggio della speranza”, come lo chiamava lui, poteva dirsi terminato.

Nei giorni che precedettero la partita dell’anno, Vincenzo si calò completamente nella realtà metelliana. La prima cosa che fece fu prenotare un posto su uno dei torpedoni che i tifosi stavano organizzando per Benevento. Si prospettava un vero e proprio esodo nel Sannio, non poteva mica rischiare di rimanere senza biglietto dopo la traversata che si era sobbarcato in treno! Fece qualche bagno in Costiera Amalfitana, e fece soprattutto un’indigestione di “radio portici”.

Argomento principe delle discussioni con gli amici? Facile: la Cavese, la campagna acquisti orchestrata dal nuovo direttore sportivo Bronzetti, e le difficoltà del campionato di B che era ormai alle porte. Dopo la promozione dalla serie C, la squadra aveva subito parecchi ritocchi, aumentando il tasso tecnico in ogni zona del campo. Bronzetti, per evitare di soffrire troppo il salto di categoria, aveva deciso di puntare su giocatori esperti, già avvezzi alla cadetteria.

Avevano salutato la maglia biancoblù i vari Vannoli, Longo, Della Bianchina, Banelli, Canzanese, Turini, Glerean, Truddaiu, Burla, Magliocca, Viciani, Infante e Bordoni.

A Cava, nel frattempo, erano arrivati i portieri Paleari e Pigino, i difensori Guerini, Chinellato, Biagini e Costaggiu, i centrocampisti Cupini, Pavone, Repetto e Viscido, e gli attaccanti Sartori, Barozzi e Piccinetti. C’era curiosità per vedere all’opera tutti i nuovi acquisti.

Dopo il grave infortunio capitato a Paolo Braca sul finire del campionato precedente, Santin avrebbe affidato le chiavi del centrocampo a Peppe Pavone, mezzala sopraffina che Bronzetti aveva portato con sé dal Taranto. Pavone, 92 presenze in serie A con Foggia e Inter, e una Coppa Italia vinta con i nerazzurri nel 77/78, era l’uomo giusto per fare da chioccia agli Aquilotti e per interpretare al meglio in campo le direttive del mister Santin.

La scelta di Bronzetti si rivelò azzeccata e Pavone, molto presto, diventò il nuovo beniamino del pubblico metelliano e la bandiera della nostra squadra.
A differenza del Torino che cadde inaspettatamente a Perugia, la Juve non steccò la prima uscita in Coppa Italia.

Domenica 23 agosto 1981 i bianconeri del Trap espugnarono in notturna il “Romeo Neri” di Rimini con un secco 3-1. Dopo essere passati in svantaggio per un gol di Bilardi, centrocampista offensivo che Bronzetti porterà a Cava la stagione successiva, i bianconeri prima pareggiarono con Bettega e poi ribaltarono il risultato con una doppietta di Virdis, il centravanti sardo che Boniperti aveva richiamato alla base dopo l’annata in chiaroscuro nel Cagliari.

Dopo il diciannovesimo scudetto vinto sul filo di lana, superando la concorrenza di Roma e Napoli, e le polemiche in seguito al gol annullato a Torino al romanista Turone, la Juventus si presentava ai nastri di partenza del nuovo campionato di serie A come la solita squadra da battere. Le novità di mercato in casa bianconera erano rappresentate dall’acquisto di Massimo Bonini, centrocampista nativo della Repubblica di San Marino, prelevato dal Cesena, e dal ritorno dello stesso Virdis. L’attaccante di Sassari era stato scelto per affiancare Roberto Bettega, in attesa della fine della squalifica di Paolo Rossi.

Il centravanti della Nazionale, coinvolto nello scandalo del Totonero quando vestiva ancora la maglia del Perugia, infatti sarebbe tornato disponibile solo nelle ultime giornate, ad un mese dall’inizio dei Mondiali di Spagna, e Virdis secondo Boniperti lo avrebbe sostituito a dovere.

La Cavese seguì con occhi interessati la partita di Rimini, poi tutta Cava visse quasi in apnea i tre giorni che portarono all’esordio assoluto nel calcio professionistico della compagine biancoblù contro i più titolati campioni bianconeri. Qualche quotidiano nazionale provò a rovinare l’immagine della nostra città, parlando ancora degli incidenti di San Benedetto del Tronto e della battaglia di Campobasso. Purtroppo in Molise le ricostruzioni faziose dell’epoca avevano completamente capovolto la realtà dei fatti e la Cavese, al di là della sconfitta sul campo, aveva subito anche la beffa di una lunga squalifica del proprio impianto di gioco.

A Benevento, tuttavia, non ci sarebbe stato nessun problema. Al cospetto della Vecchia Signora, gli Aquilotti ci tenevano da morire a ben figurare, ma solo in modo lecito. Santin preparò la partita in modo minuzioso, cercando di isolare la squadra dalle pressioni della vigilia. Mercoledì 26 agosto, fin dalle prime ore del pomeriggio, nonostante la calura estiva, quasi quindicimila cavesi si riversarono nel Sannio a bordo di più di cinquanta pullman e di un numero incalcolabile di auto private. Due ore prima dell’inizio del match, fissato per le 17.30, lo stadio era già pieno. L’incasso avrebbe superato abbondantemente i duecento milioni di lire, una cifra davvero niente male per quei tempi.

Vincenzo e i suoi amici si sistemarono in curva, nell’anello superiore, quando mancava ancora un’ora e mezza abbondante al calcio d’inizio. Il giovane soldato di leva aveva una visuale perfetta. Riusciva a scorgere in maniera chiara ogni angolo del campo. Era emozionatissimo. Il pensiero volava agli anni di Torino, alla prima volta che era andato a vedere la Juventus al Comunale contro il Perugia. Era il 1 febbraio del 1976 e i bianconeri quel giorno si erano imposti per 1-0 grazie ad una rete di Oscar Damiani.

Quel campionato era finito male per la Juventus che si era fatta soffiare il tricolore dal Torino proprio all’ultimo respiro. Vincenzo ci era rimasto male, anche perché a fine stagione la società bianconera aveva deciso di cedere all’Inter, scambiandolo con il più anziano Boninsegna, il suo giocatore preferito, l’attaccante Pietro Anastasi, il “Pelè bianco”. Fu un’operazione clamorosa. Per tutti i meridionali trapiantati in Piemonte, Anastasi era un mito: era il simbolo del riscatto dei tanti operai che lavoravano alla Fiat e che erano orgogliosi di quel “terrone” come loro che ce l’aveva fatta. Non appena arrivò all’Inter, tuttavia, Anastasi perse il suo celebre fiuto del gol e si intristì, finendo presto ai margini della squadra nerazzura. Boniperti, come spesso accadeva, ci aveva visto lungo. Mentre Anastasi uscì dai radar del grande calcio e della Nazionale, la Juve con “Bonimba” continuò a vincere e a fare sfracelli in Italia e in Europa. Con buona pace del povero “Pietruzzu” che in quel 1981, dopo due annate in chiaroscuro a Milano e tre ad Ascoli, si apprestava a disputare l’ultima stagione in Svizzera a Lugano, prima di appendere a trentaquattro anni definitivamente le scarpette al chiodo. Certo, un Anastasi anche a mezzo servizio forse avrebbe fatto comodo persino alla Cavese in serie B, magari al fianco di De Tommasi, vero? La domanda senza risposta che Vincenzo avrebbe voluto rivolgere ai suoi compagni fu spenta sul nascere dallo scoppio dei mortaretti e dal frastuono delle trombette. Le due squadre, insieme con la terna arbitrale capeggiata dal signor Mattei di Macerata, avevano fatto capolino sul rettangolo di gioco. La partita stava per iniziare.

Zoff, Gentile, Cabrini, Furino, Brio, Scirea, Fanna, Tardelli, Bettega, Brady, Marocchino. Questo fu l’undici che inizialmente mandò in campo Giovanni Trapattoni. Santin rispose con una formazione particolarmente abbottonata: Paleari, Guerini, Pidone, Polenta, Chinellato, Biagini, Pavone, Cupini, De Tommasi, Repetto, Costaggiu.

Il tecnico istriano sperava di contenere le prevedibili sfuriate iniziali dei Campioni d’Italia, per poi provare a colpire magari nella ripresa. I piani tattici di Santin saltarono però dopo pochi giri di lancette. Bastarono appena tre minuti alla Juventus per passare in vantaggio: sugli sviluppi di un fallo laterale battuto da Cabrini, lo sgusciante Marocchino, eludendo l’entrata di Guerini, entrò in area e, anticipando la chiusura di Polenta, trafisse con un potente diagonale l’incolpevole Paleari, vanamente proteso in tuffo sulla sua sinistra. GOL! 1-0 per la Juventus. Gli Aquilotti in campo non ci avevano capito nulla, figurarsi Vincenzo e gli altri tifosi sugli spalti. Troppo forte quel Marocchino, pensò il ragazzo. Come dargli torto!

La Cavese, forse troppo intimorita dal blasone dell’avversario, non riuscì a riorganizzare una minima reazione, anzi continuò a difendersi per quasi tutto il primo tempo. Santin dalla panchina si sbracciava, facendo capire con ampi cenni ai suoi che non era il caso di farsi prendere dal panico. Anzi, per provare a riequilibrare la squadra, il tecnico cambiò le marcature sulle due ali avversarie. Eppure i biancoblù sembravano storditi. Solamente De Tommasi giocava con leggerezza, dando più di un grattacapo a quello spilungone di Brio. Al quindicesimo minuto, complice un’indecisione di Cabrini, il nostro numero nove scaricò addirittura un tiraccio maligno verso la porta avversaria: la palla sibilò fuori a fil di palo, con Zoff proteso in uscita disperata a chiudere lo specchio. Scampato il pericolo, prima della fine del primo tempo, la Juventus sfiorò il colpo del kappaò in almeno due o tre circostanze con Fanna, ancora con lo scatenato Marocchino, e con Bettega.

Quando l’arbitro mandò tutti negli spogliatoi per l’intervallo, Vincenzo e i tifosi metelliani tirarono un sospiro di sollievo. La Cavese stava perdendo per 1-0, ma dopo l’iniziale sbandamento e la comprensibile emozione ora si difendeva con ordine. Al rientro in campo Santin sostituì Costaggiu con Barozzi, mentre Trapattoni lasciò sotto la doccia l’esperto Furino e gettò nella mischia il giovane Bonini.

Marocchino, pur spostato a destra, nella ripresa continuò ad imperversare. L’ala seminava avversari in slalom come birilli e sfornava assist e cross a ripetizione per i compagni. Dopo otto minuti la Juve andò di nuovo vicina al raddoppio: Fanna, servito da un tacco di Bettega, entrò in area, superò Paleari, ma poi a porta sguarnita, invece di tirare, restituì la palla a Bettega. La conclusione del numero nove bianconero a botta sicura si stampò non si sa come sul corpo di Paleari. Il Trap, dopo un quarto d’ora, diede il cambio proprio a Fanna e inserì Virdis per dare una mano in avanti a Bettega.

L’attaccante sardo si rese subito pericoloso centrando di testa il montante, dopo l’ennesima combinazione Bettega-Marocchino. Santin rispose inserendo il giovane Sergio Mari che, intorno al ventesimo della ripresa, prese il posto di Cupini. A venti minuti dalla fine, in seguito ad un banale scontro con Pavone, si infortunò Cabrini e i bianconeri furono costretti a giocare in dieci. Santin a questo punto ordinò ai suoi di portarsi in avanti e “O’ Rey” De Tommasi provò a tirare fuori dal cilindro un numero dei suoi, ma Brio, protetto dai compagni, fece buona guardia. Tardelli e Gentile, costretti agli straordinari, ricorrevano a qualche scorrettezza di troppo per frenare l’impeto dei biancoblù; l’arbitro Mattei mostrò ad entrambi il cartellino giallo.

A sette minuti dal termine la Juve, proprio con Tardelli, mise al sicuro il risultato. L’azione si sviluppò fulminea, partendo dalla metà campo bianconera, sull’asse Gentile, Brady, Virdis, Marocchino. L’ala si allargò sulla destra, poi rientrò su se stesso, si accentrò e servì un pallone d’oro al limite per l’accorrente Tardelli che di sinistro fulminò un non proprio impeccabile Paleari. Il 2-0 chiudeva di fatto il match. Nonostante la sconfitta lo stadio di Benevento applaudì convinto al fischio finale della giacchetta nera di Macerata.

La matricola Cavese, al battesimo di fuoco contro i Campioni d’Italia, con una squadra nuova che doveva trovare ancora la giusta amalgama, non aveva affatto sfigurato.
– Perdere di misura con questa Juve non deve essere considerata una sconfitta, anzi è una mezza vittoria – ripeteva ai compagni Vincenzo all’uscita della curva, mentre si dirigeva verso i pullman. Rino Santin, negli spogliatoi, utilizzò più o meno la stessa frase al cospetto dei cronisti. Anche se l’impegno era ufficiale, visto che si trattava di un incontro di Coppa Italia, non bisognava fare nessun dramma di quella sconfitta.

Il campionato sarebbe stato tutta un’altra cosa. La Cavese, credendo di più nei propri mezzi, in serie B sarebbe stata una mina vagante, un osso duro per tutti. Ne era convinto anche Vincenzo, che già aveva sostituito nel suo cuore le prodezze in zona gol di Anastasi con i tocchi vellutati in cabina di regia di Peppino Pavone. Ora si trattava solo di rientrare a Cremona per chiudere al più presto l’esperienza del servizio di leva. Gli mancavano ancora un paio di mesi e poi sarebbe tornato alla vita di tutti i giorni. C’era un futuro tutto da scrivere. E c’era una salvezza da conquistare ad ogni costo, al fianco dei suoi adorati colori biancoblù.

Per un attimo si sentì sollevato. Il congedo non gli sembrò mai così vicino come quella sera.

(fonte Cavese 1919 http://www.cavese1919.it/)

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