Peso, Alimentazione, Corpo, Emozioni (PACE)
Oggi il rapporto fra emozioni e cibo sembra ovvio e scontato, ma solo da pochi anni ne è stata dimostrata l’evidenza scientifica [7].
E’ definitivamente accertato che situazioni di stress tendono a ridurre l’assunzione di cibo nei soggetti a dieta libera, ma la incrementano in coloro i quali sono cronicamente a dieta ipocalorica, in particolare nei soggetti sovrappeso che più facilmente perdono il controllo quando sono sottoposti a stress emotivi rispetto alle persone normopeso.
Le emozioni sembrano quindi esercitare effetti diversi nelle persone per cui oggi la letteratura scientifica tende a distinguere tre gruppi di sottopopolazioni: i Normal Eaters (normali mangiatori), Restrictive Eaters (mangiatori restrittivi) ed Emotional Eaters (mangiatori emotivi) [8].
Nel primo gruppo, persone che non hanno problemi con il cibo, l’esperienza di emozioni negative e/o eventi stressanti, in genere, non si associa ad alcun cambiamento del comportamento alimentare.
Le emozioni hanno un effetto sull’assunzione del cibo che dipende dalle loro caratteristiche di personalità e dalla motivazione del momento: la tristezza riduce la motivazione a mangiare e l’allegria l’aumenta.
Il secondo gruppo, i mangiatori restrittivi, sono persone che esercitano un controllo rigido sull’introito alimentare allo scopo di evitare l’aumento del peso e/o per ridurre ulteriormente il proprio peso corporeo. In queste persone, costantemente in tensione dal punto di vista emotivo, e preoccupate di cosa e quanto mangiare, è possibile riconoscere uno schema di pensiero “dicotomico” che determina un’alternanza di eccessi e privazioni.
In questo gruppo, che manifesta uno scarso controllo cognitivo, le emozioni siano esse positive o negative, determinano, in genere, un aumento dell’assunzione di cibo. L’ultimo gruppo, i mangiatori emotivi, si caratterizza per manifestare una confusione costante del cibo con i sentimenti, che viene definita, un po’ superficialmente, fame emotiva (emotional eating).
Le emozioni negative, in questo gruppo, favoriscono il consumo di dolci, cibi ipercalorici, cibi confezionati e pronti. L’ansia, la depressione, la noia, la solitudine, la rabbia, la gioia, quindi, possono contribuire all’alimentazione eccessiva o restrittiva.
L’idea però che lo stato d’animo che scatena la fame o esaspera la restrizione sia la conseguenza di un conflitto posto in profondità affascina molto gli esperti della mente ma è con buona probabilità difficile da verificare. Anche banali seccature quotidiane possono far scattare la molla verso il cibo!
E’ molto importante e incoraggiante allo stesso tempo, sapere che la maggior parte delle persone che mangiano in risposta al loro umore, non è impotente riguardo i propri comportamenti alimentari. E non è altrettanto utile pensare alla fame emotiva come una sorta di debolezza spirituale o una caratteristica di personalità.
La fame emotiva per se stessa non è una malattia né un disordine, né può essere considerata una dipendenza e quindi una malattia della volontà. Si può arrivare al controllo della fame emotiva attraverso un processo volontario e consapevole ma anche inconsapevole o automatico di regolazione delle emozioni [9]. Tutti abbiamo le potenzialità per poter influenzare l’insorgenza, la qualità, l’intensità e la durata delle emozioni identificando, accettando, provando le emozioni, e sviluppando alternative comportamentali in grado di separare i sentimenti dal cibo.
Alcune tecniche di terapia cognitivo-comportamentale quali il decentramento e distanziamento delle emozioni dal cibo sono risultate molto utili per affrontare gli episodi di fame emotiva. Esse portano ad eliminare la sensazione di impotenza sul cibo ed anche a normalizzare o ridurre in modo salutare e ragionevole il proprio peso e la propria insoddisfazione corporea.
Queste strategie sono risultate molto efficaci anche per combattere il male del secolo che interessa ogni anno centocinquanta milioni di nuovi casi, causa la morte per suicidio di circa novecentomila persone e attualmente determina il più alto consumo di farmaci: la depressione [10].
Possiamo incominciare a parlare di un nuovo ed efficace approccio, una vera e propria ginnastica dell’umore. Ma queste strategie da sole non sono sufficienti a combattere le smanie per il cibo causate dall’industria della dieta. E’ scientificamente dimostrato che le dieta predispongono inevitabilmente alla fame emotiva, alle abbuffate soggettive e oggettive ed alla incapacità di distinguere la fame fisiologica da quella emotiva.
La difficoltà ad identificare ed accettare le emozioni, la confusione emotiva ci spingono ad utilizzare una modalità di comportamento finalizzata a dissipare rapidamente qualsiasi stato emotivo che diventa di per se intollerabile sia esso negativo ma anche positivo. Questa modalità, che possiamo definire modalità fare viene attivata quando si sente che l’emozione diventa intollerabile e mangiare diventa un comportamento indispensabile e incontrollabile che ci fa affondare i denti in hamburger pieno di grassi saturi, in uno snack ripieno di zuccheri, pur conoscendone le conseguenze.
Siamo stupidi? No, abbiamo semplicemente bisogno di inondare il nostro cervello di endorfine.
Cosa possiamo fare? Una prima risposta la suggerisce il più volte citato Servan-Schreiber sintetizzandola nel titolo di un capitolo del suo famoso libro: Prozac o Adidas? I risultati della ricerca sono decisamente a favore della superiorità dell’attività fisica rispetto al farmaco, sia nel miglioramento del tono dell’umore che nella regolazione delle emozioni stesse. Un modalità di gestione alternativa ed ancora più funzionale delle emozioni è la modalità essere con la quale diventiamo abili a riconoscere, accettare e distanziarci dalle emozioni senza attuare comportamenti disfunzionali di modulazione dell’umore.
Se riflettiamo bene, il rapporto tra emozioni e cibo si estrinseca palesemente anche in alcune espressioni linguistiche che vengono usate per descrivere sentimenti e stati d’animo: non riesco a mandarlo giù, sono pieno fino qui della situazione, mi è difficile da digerire e non vedo l’ora di sputarlo fuori, mi fa vomitare, devo ingoiare in questo momento, sono costretto a rimangiarmi le parole, lo mangia con gli occhi, ecc!
Non è una coincidenza questo rapporto di termini tra alimentazione ed sentimenti di rabbia, conflitto o felicità! E’ molto facile e frequente confondere il cibo con il nostro vissuto fisico e cognitivo, ma è altrettanto importante tenere separati questi ingredienti fondamentali della nostra vita per non rischiare di farne un minestrone insapore e indigesto. (4 – fine)
Bibliografia essenziale
- Beck H “20 anni a La Pergola tra emozioni e gusto” Online News. Marzo 23 , 2014
- Gardner, Meryl P, Wansink B, Junyong K, Se-Bum Park “Better Moods for Better Eating?: How Mood Influences Food Choice,” Journal of Consumer Psychology, 2014
- Candace Pert “Molecole & Scelta” in Shift: alle frontiere della consapevolezza. 4, September-November, pp. 20-24, 2004
- Servan-Schreiber D“Guérir”. Edition Robert Laffont, Paris, 2003
- Mayer JD & al. “Model of emotionals intelligence” in Handbook of Intelligence, a cura di Steinberg, R.J., Cambridge University Press, Cambridge, 2000
- Goleman D “L’intelligence émotionnelle” Edition Robert Laffont, Paris, 1997
- Abramson E “Emotional Eating”. Jossey-Bass Inc.,U.S. 1998
- Lombardo C “Esperienza e regolazione delle emozioni nei disturbi dell’alimentazione” in “Il cibo delle dee. Il contributo del Pellicano Onlus per la cura dei disturbi alimentari” pp.57-66, Edizioni Aguaplano, 2014
- Gross JJ, Thompson RA “Emotional Regulation: Conceptual Faundations” In J.J. Gross (Ed.) Handbook of Emotional Regulation Guilford Press, New York, pp. 3-24. 2007
- Christensen H., Griffiths K., “The Mood Gym: Overcoming Depression”. Ed. Ebury Press. 2011