È noto che nell’animo di ogni saggista alloggia la tentazione per la narrativa, e non è da meno Gildo De Stefano, musicologo di chiara fama, con all’attivo una ventina di saggi sul settore, il quale è ritornato dopo qualche anno sul luogo del delitto, come si suol dire in questi casi.
Praticamente ciò che ha fatto, col suo romanzo dal titolo “Blues mediterraneo” (ASIN B08FBKH8FF, Salerno 2020), e con un sottotitolo alquanto emblematico, “Diario di un suonatore guercio di jazz”, in versione e-book e già fruibile per i lettori sulla piattaforma Amazon. Naturalmente il passaggio e la forza a cimentarsi a De Stefano è stato dettato dall’incoraggiamento dal suo arrivo fra i finalisti del Premio Calvino di diversi anni fa.
Com’egli stesso ha affermato, aveva cominciato a buttare giù le prime pagine proprio qualche mese dopo la comunicazione da Torino, basandosi sugli anni che aveva vissuto in America, ospite di suo zio, e dove aveva incrementato la sua cultura musicale raccogliendo materiale, ascoltando molta musica e intervistando molti artisti. Da quell’esperienza ha colto situazioni di vita che formano l’impianto narrativo di questo lavoro, il tutto sul filo della musica jazz, che poi rappresenta l’argomento principe dei suoi libri di saggistica.
La storia, che è imperniata sul conflitto tra la scostante personalità di un artista e il vigore istintivo e vincente del rivale, è descritta da angolazioni tutte diverse, che disegnano una mappa del dolore, dell’amicizia, dei rapporti umani spesso vissuti al limite dell’intollerabile.
Due artisti a confronto. L’uno, sensibile e introverso, in una ricerca disperata dell’amore; l’altro, bello e dannato, incuneato verso l’autodistruzione. Il tutto a ritmo serrato della musica jazz.
La diegesi tratta più temi: l’amicizia, l’amore, la crisi adolescenziale, il tutto corre sulle righe di un pentagramma. L’autore utilizza un tessuto dialogico costituito, naturalmente, anche da numerose citazioni di eventi e personaggi reali della musica italiana e internazionale a cui ha assistito e ha conosciuto, a tratti vivacissimo, di grande naturalezza, gusto letterario, e di notevole intensità espressiva.
In questo esordio di romanzo di lungo respiro, De Stefano ha tracciato un arco temporale con un’esposizione abbastanza levigata, con l’auspicio che dia l’impressione di una certa maturità editoriale. Descrive scene veloci, ricche di dettagli geografici e artistici, che raccontano fatti a volte tragici in una maniera calma, quasi ovattata, come a sottintendere che quei fatti non sono eccezionali ma normale amministrazione. Come pure ha cercato, per le sue embrionali capacità narrative, di scrivere questa storia in modo elegante, talvolta anche eccessivo e imbarazzante, perché si potrebbe scambiare per indifferenza morale, dato che rappresenta anche il male e la crudeltà del fato con uno stile plastico, con parole messe –si augura l’autore- tutte al posto giusto.
Normalmente Gildo De Stefano (nella foto con Toquinho) è abituato a una scrittura saggistica poiché è un musicologo, incerto se sia riuscito a far trasparire dal tessuto dialogico la potenza e la capacità rappresentativa, ma al lettore non sfuggirà che l’autore ha solamente cercato di disegnare un quadro fatto di stati d’animo, le strettoie e le costrizioni, le servitù, che adulti e adolescenti vivono in una società globale dove vigono regole spietate; e dove l’arte è l’unico rifugio per la propria anima. (Daniele Panico)