LIBRI & LIBRI Tim Burton e il catalogo delle meraviglie, il saggio “pop” che sorprende grandi e piccini
Il saggio di Maria Cristina Folino aiuta a riscoprire una delle fiabe più amate di tutti i tempi, ad ogni età
Non c’è bambino, al di là dei contesti sociali di origine, che non abbia visto il film Disney del 1951: Alice nel Paese delle Meraviglie (chi scrive questa nota è nato un anno dopo nel 1952, eppure quel film l’ha visto e rivisto molti anni dopo, seguendo la crescita delle proprie bambine).
Oggi mi riporta sul tema fiabesco il libro di un’interessante giovane autrice, Maria Cristina Folino, che con il prezioso volumetto intitolato “Tim Burton e il catalogo delle Meraviglie. Un saggio “pop” tra letteratura e cinema” intraprende un itinerario critico (Dialoghi, pag 80). La prefazione è del prof. Mario Monteleone, Docente di Linguistica Computazionale presso l’Università degli Studi di Salerno. L’autrice, amante del cinema e del suo linguaggio, con attente riflessioni esamina il legame profondo tra l’opera letteraria di Lewis Carrol (i cui romanzi in effetti i sono sono due, Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie e Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò) e la celluloide. Esaminando il linguaggio letterario e quello filmico, soprattutto quello del regista Tim Burton, l’autrice compara l’opera di Carroll con l’interpretazione del regista Tim Burton. Infatti, il primo film della Disney racconta l’avventura fantastica di una bambina che oscilla tra due piani, fantastico e realtà, e che attraverso il gioco dei “nonsensi” coniuga fantasia e realtà.
La protagonista del film Alice in Wonderland di Tim Burton (uscito in Italia nel 2010) è, invece, una ragazza di diciannove anni che trova una realtà diversa da quella che scaturisce dalle pagine originarie dello scrittore inglese. Non è più una bambina dal vestitino azzurro, ma una ragazza in età di marito: quindi l’Alice di Burton è un’Alice in crescita, che sembra passi dall’infanzia alla giovinezza e da qui matura una propria identità.
Scrive la Folino: “…È chiaro che le modalità della comunicazione cambia varie volte nel corso della vita di ciascuno, e inoltre la rottura di schemi rigidi (imposto dagli adulti ai bambini) è tipica dell’adolescenza. Sembra dunque che essendo le scelte di Burton mai casuali, ma adatte a rappresentare le dimensioni della nuova Alice, possano rappresentare la naturale derivazione dell’opera letteraria originaria”.
E ancora: “La risoluzione dell’Alice in divenire che si confronta con l’Oraculum, lo specchio di ciò che sarà, è una trovata davvero originale di Burton, il disvelamento della metafora che, mediante l’oggetto magico, crea un’implicita attesa di quello che avverrà al termine del film. Un’Alice adulta che combatte per rendere migliore la propria vita”.
Chi scrive, pur non essendo un critico, non può non notare la serietà, quasi lo zelo nell’analizzare l’opera di Carroll, con l’interpretazione del grande regista neogotico, Tim Burton, testimoniata dalle numerose note a piè di pagina.