scritto da Mariano Avagliano - 01 Ottobre 2018 08:45

LIBRI & LIBRI “La Colonna di Fuoco” di Ken Follet

Accade sempre allo stesso modo. Si capisce subito, dalle prime pagine, dalle prime righe, dai primi respiri sulla carta. Quando si è di fronte a un Grande. Non ci sta via di mezzo. Non conta l’editore o l’abilità del marketing editoriale, chi sa scrivere rapisce e fa viaggiare, in mondi sommersi sempre uguali, alla fine, a noi stessi e ai paesaggi che ci portiamo dietro da tempo. Null’altro, insomma, della profonda capacità della letteratura di passare, in un soffio, dall’universale, quando sembra che la storia sia di tutti, al particolare, quando invece sembra che il protagonista del momento sia del tutto simile a noi, per modi di vedere, sentire, soffrire e amare.

Il viaggio è iniziato leggendo l’ultimo lavoro di Ken Follet “La Colonna di fuoco”, sequel intrigante e avvicente della storia di Kingsbrige, insieme di storie intrecciate che partono nell’Inghilterra dell’alto medievo e arrivano, con l’ultima opera, al sedicesimo secolo, alla corte di Elisabetta I.

Oltre alla maestria e grande conoscenza del tema storico – Follet è uno di quelli che quando decide di scrivere qualcosa ci va giù pesante iniziando a leggere di tutto di più sul tema – quello che colpisce è la capacità dello scrittore di entrare nella vita dei suoi protagonisti o meglio co-protagonisti. Affianco alla storia di vita del personaggio principale che dipana la matassa ce ne stanno tanti altri, buoni e cattivi, da un lato e dall’altro, che con i loro punti di vista portano avanti la loro idea di vita e di mondo. Da questo punto viene spontaneo tracciare, anzi disegnare, il racconto della storia macro, della storia delle nazioni e dei popoli, attraverso la somma delle storie quotidIane fatte di passioni e contraddizioni. Come ciascuno di noi, tra l’altro. Pure noi, non ci facciamo caso ma, con quello che facciamo, contribuiamo a creare e scrivere un pezzo di storia che domani qualcuno osserverà.

“La Colonna di Fuoco” niente altro è, quindi, che una storia d’amore, sotto la forma del thriller storico, che si distende in diverse direzioni: amore per la donna amata, per il proprio Paese, per la propria religione, per un ideale, per la propria regina. Sullo sfondo il messaggio che le cose, nella storia come nella vita, accadono si per determinismo storico ma, caro Marx non hai sempre ragione, soprattutto perchè alla base ci sono grandi ideali che condiscono il tutto.

Ecco quindi che il regno, prospero e promettente, di Elisabetta I, figlia dell’eretico Enrico VIII, si ispira, alla fine, all’ideale della tolleranza: inseguito, forse male realizzato, ma comunque portato avanti mentre tutt’attorno, dai Paesi Bassi alla Francia, l’Europa si lacera in conflitti strazianti tra cattolici e protestanti.

La scrittura, come sempre fa Follet – e diamo anche merito all’ottima traduzione – scorre come un fiume così tanto che sembra una serie di Netflix, tanto è la smania di andare pagina dopo pagina e capire come finisce.

Si resta, forse, un poco amari sul finale, quando tutta la matassa della storia complessa trova armonia e quintessenza in un flash back del protagonista su cosa è andato e cosa no della sua esistenza al servizio di Elisabetta. La stessa sensazione quando dopo una grande corsa, in discesa e in salita, si arriva al mare. Lo vedi in lontananza, ci arrivi e lo guardi, ti tuffi pure, ma alla fine ti sembra sempre che ti manca qualcosa, come se la corsa non trovasse pace nel traguardo.

Ma è la sensazione che si prova, forse, un poco con tutte le cose, basta farci l’abitudine e qui siamo comunque di fronte a un Grande autore contemporaneo.

Follet ci invita a un gran bel viaggio in cui si impara e se ne esce arricchiti e divertiti. Non si tratta, soltanto, di frammenti di storia passata ma, a ben guardare, stando un poco più distanti, di episodi capaci di parlare a noi e al nostro presente.

In momenti in cui sembra prevalere, a tratti, frastuono, vociare e superficialità serve non dimenticare quello che siamo: gli ideali, la libera banalità di poter esser banali, arrivano dritto dritto dal passato, dalle vite, dai passi, respiri e frammenti di chi ha camminato prima di noi.

Ha iniziato a scrivere poesie da adolescente, come per gioco con cui leggere, attraverso lenti differenti, il mondo che scorre. Ha studiato Scienze Politiche all’Università LUISS di Roma e dopo diverse esperienze professionali in Italie e all’estero (Stati Uniti, Marocco, Armenia), vive a Roma e lavora per ItaliaCamp, realtà impegnata nella promozione delle migliori esperienze di innovazione esistenti nel Paese, di cui è tra i fondatori. Appassionato di filosofia, autore di articoli e post, ha pubblicato le raccolte di poesie “Brivido Pensoso” (Edizioni Ripostes, 2003), “Esperienze di Vuoto” (AKEA Edizioni, 2017).

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