LIBRI & LIBRI Intervista a Fabio Bacà, autore di Nova (Adelphi Editore)
LIBRI & LIBRI Intervista a Fabio Bacà, autore di Nova (Adelphi Editore)
“Inabili alla violenza ma a tal punto repressi da sfogarla a sproposito” Fabio Bacà ci racconta il koan dell’uomo contemporaneo.
Avete presente cos’è una Nova? In astronomia, Nova è una esplosione nucleare, che sprigiona una energia potentissima, percepibile alla vista come un lampo accecante che brucia nel giro di poco tempo.
Ora immaginate una energia del genere, repressa, in un individuo qualunque, riuscite ad immaginare quale potrebbe essere la conseguenza di questa compressione? E riuscite ad immaginare la vostra reazione? Probabilmente no e questo perché “per quasi tutti noi la violenza è un fatto emotivamente alieno.”
Fabio, il suo è un libro che, come ha detto Diego De Silva, presentandola al Premio Strega, parla di violenza e vigliaccheria. Parla però anche di un trauma e della crisi che ne segue. Lei cosa voleva raccontare?
Le rispondo subito dicendole che, per quanto mi riguarda, nel mio modo di essere romanziere, quando comincio un libro, ho uno spunto sicuramente ma non ho una sola cosa che voglio raccontare. In questo caso lo spunto è stato una statistica che ho letto forse una decina di anni fa che parlava degli stupri sventati in Italia da comuni cittadini. Secondo la statistica 8 su 10 circa erano episodi di violenza evitati grazie all’intervento di cittadini stranieri, slavi o nordafricani, anche irregolari. Al contrario, gli italiani, trovandosi in una situazione di potenziale pericolo, chiamavano le forze dell’ordine oppure addirittura restavano inermi. Secondo l’analisi del giornalista e scrittore, Massimo Fini, ciò probabilmente era il risultato di vivere in un Paese “civilizzato” al punto da rendere i suoi cittadini “rammolliti”, incapaci di riconoscere il pericolo e difendersi. Ecco io volevo raccontare questa realtà, questa dicotomia dell’uomo contemporaneo da una parte inabile alla violenza, vigliacco se vogliamo, dall’altra a tal punto represso da essere capace di sfogare la propria violenza completamente a sproposito e per ragioni magari ridicole. Nel libro poi viene fuori anche il trauma che Davide subisce e la sua incapacità di contestualizzarlo.
Fa da contraltare a Davide con questa sua incapacità, la moglie, Barbara, che, pur essendo il soggetto passivo della violenza di cui Davide è solo spettatore, riesce al contrario a darle un inquadramento.
Barbara sicuramente è il protagonista del romanzo più ragionevole. Per Davide è un punto di riferimento, è una donna forte, bella, colta, intelligente. Davide, d’altra parte, descrive a mio parere bene l’uomo contemporaneo. L’evento di tentata violenza che subisce sua moglie lo mette in crisi al punto da iniziare a chiedersi se sia un buon padre, un buon marito, un buon professionista, e a dubitare di tutto anche di quelle che pensava fossero le sue virtù. Vede, non è poi così strano perché all’uomo oggi è chiesto di avere un ruolo da duro ma al tempo stesso gentile, di essere forte ma al tempo stesso cortese, e gli uomini hanno perso un po’ la bussola. C’è stata una grande evoluzione negli ultimi decenni, evoluzione alla quale gli uomini non erano preparati e rispetto alla quale ancora faticano a trovare la propria nuova identità.
C’è un altro personaggio fondamentale nel romanzo, Diego: chi è?
Diego è il deuteragonista, incarna il vero figlio di questa società inquieta e contraddittoria. È un esemplare paradigmatico, sui generis: monaco zen e picchiatore. Nessuno di noi è solo bianco o solo nero e Diegoincarna questa essenza perfettamente. Tenga anche conto che è figlio di un trauma lui stesso: figlio di un padre violento, scopre che la madre si è “ribellata” uccidendo quel marito violento. Diego risolve la sua rabbia razionalizzando e non è di certo scontato. Poteva finire come uno spacciatore, un criminale, ma sulla sua strada incontra lo zen. Qui c’è una parte di autobiografia perché io stesso ho praticato meditazione e ritengo che sia una pratica utile per convogliare le energie in maniera costruttiva o almeno non autodistruttiva.
Diego fa un discorso pesante a Davide. Gli dice “la violenza è un potere ambiguo che ha bisogno di essere controllato: se non lo domini, dominerà te. E non puoi controllare qualcosa che neghi a priori. Non puoi gestire una parte di te che rifiuti persino di concepire. Per convivere con il Potere devi nutrirlo e addomesticarlo.”
Chiaramente i discorsi di Diego sono estremi ma volevo che risultassero al tempo stesso molto persuasivi. In questo senso ho tratto ispirazione da 1984 di Orwell.Nel romanzo, Orwell riesce a dare alla voce di O’Brien, nell’articolare le sue argomentazioni sul perché fosse giusto che quella società funzioni così, una carica tale che per il lettore sembra quasi convincente. Ecco, io volevo creare un soggetto simile che fosse convincente nella giustificazione della violenza. A parte questo, il personaggio è maggiormente ispirato al protagonista di Fight Club di Chuck Palahniuk, da cui è stato tratto il film di David Fincher.
Diego è anche fermamente convinto che la pace sia in fondo un’utopia, lo pensa anche lei?
Io non so quale sia la verità né ho soluzioni ma sicuramente è evidente, basti vedere la situazione attuale, che malgrado secoli di filosofie e religioni basate sulla non violenza, la pace, il perdono, l’amore, il mondo assolutamente non sta migliorando in tal senso. La violenza esiste in noi da sempre, è un istinto primordiale. Dio ha fatto uccidere suo figlio, sacrificandolo per la salvezza dell’umanità, in un certo senso istituzionalizzando la violenza, dandogli dignità. Dobbiamo rifiutarla in toto? Riconoscerla? Impararla a gestire? Sicuramente bisognerebbe prenderne atto. Guardi gli ucraini, non possono arrendersi, devono necessariamente difendersi e dunque usare la violenza.
Nel libro Diego paga un prezzo carissimo per le sue teorie ma lo paga per un gesto di generosità, quello di salvare il figlio del suo amico da una violenza e dalla morte. È la sua umanità che gli fa perdere la vita? O è la violenza?
Questo è il koan, la questione paradossale e insolubile, che rimane anche nel finale. Non c’è una risposta a questa domanda e infatti il finale resta volutamente aperto e ambiguo. Il destino di Diego che si illude di poter padroneggiare la violenza subisce l’influenza di unfilm “Non è un paese per vecchi” dei fratelli Coen. Nel finale, il cattivo Anton Chigurh, che sembra quasi invulnerabile, ha un banalissimo incidente. A me sembra che voglia dimostrare che alla fine è il caso a decidere, non siamo noi ad avere il controllo. Anche pretendere di controllare un potere come la violenza è abbastanza illusorio.
Possiamo dire che in qualche modo Nova è anche un libro sull’amicizia visto che Diego dà la vita per salvare il figlio del suo amico?
Certo, Davide è un professionista ma è solo, non ha tanti amici e il suo più caro amico, Diego, che ha incontrato per caso e che poi gli rivoluziona la vita e gli salva il figlio, è una persona totalmente diversa da lui, cionondimeno il loro rapporto è vero e sincero.
Mi fa piacere evidenziare questo tema. Non a caso, il libro è dedicato a Daniele Rossi e Provino Vagnoni, il primo è un mio amico storico, dai tempi della scuola, l’altro è un uomo un po’ più grande di me che ho conosciuto da dieci anni e che è diventato una persona molto importante nella vita, lo considero un secondo padre.
Altro tema ancora è quello della dicotomia tra apparenza e sostanza delle cose. Nulla è come sembra ed infatti ad un certo punto il protagonista si chiede: “chi sono le persone che odiamo? E quelle di cui abbiamo paura? Chi sono davvero le persone che amiamo?”
Conosce il proverbio Sioux :“prima di giudicare qualcuno cammina tre lune nelle sue scarpe”? Ecco, non si possono giudicare le persone superficialmente: così Davide crede che il suo capo Martinelli ce l’abbia con lui, invece quello gli affida le sue ultime volontà perché ha fiducia di lui e lo ritiene persona leale ma certamente è anche una persona con le sue ombre. Lo stesso vale per Massimo Lenci che sembra un disturbatore, in realtà cova un profondo dramma familiare e per Giovanni che sembra un ragazzo tranquillo e anche un po’ distratto ma nasconde un grave disturbo psichico. La verità è che non mi va di creare personaggi monodimensonali. Un giorno forse scriverò un romanzo dove c’è un cattivo galattico ma qui non volevo questo, non sarebbe stato funzionale a ciò che volevo dire. In fondo, siamo tutti vittime di noi stessi e della incapacità di prendere la decisione giusta.
Infine, le faccio una domanda sul lessico usato che è estremamente ricercato. In “Benevolenza cosmica” c’era un tono umoristico, qui manca. Le viene naturale usare termini inusuali?
Ho due risposte per questa domanda: da una parte scrivo così perché per me la scrittura è e deve restare un gioco. Mi piace sorprendere il lettore e me stesso con una struttura meno usuale e un lessico non comune. La seconda risposta è che scrivo così perché gli scrittori a cui mi sono ispirato scrivono così: in particolare Foster Wallace, DonDelillo, Umberto Eco.
A questo punto mi viene da chiederle: dunque, secondo lei, per essere uno scrittore bisogna innanzitutto essere un avido lettore?
Assolutamente sì.bisogna leggere moltissimi libri senza naturalmente arrivare agli eccessi di chi dice che bisogna leggere 100-150 libri all’anno perché, secondo me, in questa maniera, leggendo due/tre libri a settimana, non si può capirli a fondo, diventa palestrismo. Io credo che si debba leggere con criterio: rubando il più possibile ma soprattutto studiando il più possibile. Ogni volta che leggo mi chiedo: perché uno scrittore ha fatto questa scelta? Avrei fatto così anche io?