LIBRI & LIBRI Dall’Estremo Oriente, storie cariche di delicatezza ed emozione. Il lato bello della globalizzazione
Arriva in Italia il quarto romanzo della serie del caffè più conosciuta – probabilmente – del mondo, quella ideata da Toshikazu Kawaguchi, giapponese di Osaka, sceneggiatore e regista ma divenuto famoso in tutto il mondo grazie al romanzo “Finché il caffè è caldo”, di cui il 28 febbraio Garzanti ha pubblicato il quarto volume col titolo “CI vediamo per un caffè” (titolo originale letteralmente “Prima che io possa dire addio”).
Anche stavolta i toni pastello della copertina, disegnata da Riccardo Gola, rimandano immediatamente ad una atmosfera confortevole, accogliente.
Così in effetti è la caffetteria all’interno della quale tutto si svolge. Certo, strano che una storia ambientata in Giappone ruoti intorno ad una caffetteria e non, per dire, ad una sala da the. Il motivo è quanto mai semplice e per nulla legato alla bevanda o al luogo in sé. Kawaguchi ha infatti spiegato che quando scrive le sue opere, parte sempre da un titolo e “Finché il caffè è caldo”, in giapponese, è una frase di 5 e 7 sillabe, la metrica classica in giapponese. Quindi quando ha deciso il titolo in realtà della storia non c’era niente ma semplicemente suonava bene.
Certo è che, come lui stesso ha spiegato, se venisse prodotto un film o una serie tv dai suoi romanzi, non vorrebbe mai che la bevanda da lui scelta fosse cambiata con altro. Chiamato però ad esprimere un desiderio, Kawaguchi, che voleva essere un mankaga, dice che gli piacerebbe che la sua serie diventasse un manga e di poter incontrare Akira Toriyama dal vivo perché ciò che alle scuole elementari gli ha ispirato il desiderio di diventare un mangaka è stata proprio la lettura della prima edizione del “Dr Slump” e che un altro manga che h amato è stato “Jenny la tennista”, al termine del quale ha pianto tantissimo e ha desiderato scrivere delle storie che potessero smuovere nella stessa maniera il cuore delle lettrici e dei lettori.
Tornando al caffè, quello che invece è stato cambiato in Italia, è il nome della caffetteria che in italiano semplicemente non compare, mentre in Giappone (e altrove nel mondo) e comunque nella versione originale dell’autore si chiama “Funiculìfuniculà”.
Kawaguchi ha spiegato che lui cercava per il nome della caffetteria un nome che fosse orecchiabile, immediatamente riconoscibile, sia da parte del pubblico giapponese sia da parte di un pubblico internazionale e così ha scelto FuniculìFunicolà in quanto tutti i giapponesi prima o poi nella vita cantano questo noto ritornello napoletano perché, tra l’altro, di questa canzone esiste una versione alternativa in Giappone intitolata “Le mutande dell’orco” che è una canzone molto popolare tra i bambini, motivo per cui la melodia, al di là delle parole, è molto popolare.
Intorno al caffè, ruotano persone e storie, ad accomunare tutte è il tema del rimpianto. A prescindere dal tipo di rapporto che lega gli avventori del bar, dalla storia che hanno alle spalle, e prima ancora a prescindere dal sesso, dall’età, dal ceto sociale, tutti, potendo tornare indietro, vorrebbero cambiare qualcosa nel modo in cui hanno agito oppure omesso di agire.
Ecco allora che il caffè dà la possibilità di tornare indietro, seguendo precise regole ma ad una condizione: qualsiasi cosa accada, il presente non cambierà comunque.
E allora perché voler fare comunque questo viaggio nel tempo?
Perché ciò che conta probabilmente non è come è andata o come andrà ma vivere senza rimpianti, perché a volte quello che avremmo voluto dire o fare e non abbiamo detto o fatto, a prescindere da come è andata, ci turba al punto da non permettere di perdonarci e perché la verità è che ci vuole coraggio a dire ciò che si deve dire e fare ciò che si deve fare e spesso questo coraggio ci manca.
È un viaggio catartico quello degli avventori del caffè che dura pochi attimi, quelli che servono prima che il caffè di raffreddi ma che salva loro la vita.
Kawaguchi racconta che è proprio questo l’obiettivo con il quale ha iniziato a scrivere: dare un esempio di come affrontare i pensieri e i rimpianti del nostro passato. Confessa che nei suoi romanzi abbiano preso forma quelli che sono i rimpianti della sua vita. Errori dei quali ci si accorge quando magari quelle persone non ci sono più e non si potrà più rimediare.
Il linguaggio del romanzo è lento, ripetitivo, come lente e ripetitive sono le scene, i movimenti. A me è sembrato di piombare nella atmosfera della ritualità e della compostezza giapponesi, del garbo che immagino di quella gente e di quella tradizione. Kawaguchi in realtà svela che è stata la sua editor che gli ha consigliato di ripetere più volte le regole della caffetteria perché il lettore potesse assorbirle a pieno. L’intenzione era rendere il testo facilmente accessibile anche a chi non è abituato a leggere romanzi, insomma a quelli che non sono lettori forti.
Benché siamo al quarto capitolo (e ce ne sarà anche un quinto), non siamo precisamente di fronte ad una saga, il primo romanzo è autoconclusivo anche se al termine i lettori e le lettrici restano con due grossi dubbi: chi sia il fantasma, la donna vestita di bianco,e perché determinati personaggi decidono di andare nell’isola dell’Okkaido. Se nel secondo e terzo romanzo vengono svelati questi dubbi, il quarto capitolo invece nasce per la necessità di raccontare altre storie e di coprire il lasso di tempo che passa tra primo e secondo romanzo e tra il secondo e il terzo (quattordici anni in tutto).Il quarto romanzo è ambientato nell’anno successivo al primo romanzo.
Piccolo spoiler: c’è un capitolo al quale Kawaguchi dice di essere più affezionato e si trova nel secondo capitolo del secondo romanzo si parla di un aspirante ceramista che va ad incontrare la madre. Scrivendo questo capitolo, confessa, gli è capitato di mettersi a piangere, cosa che non era mai successa.
*le affermazioni di Kawaguchi sono riportate dalla sua intervista a Torino del 22 maggio 2022 in occasione del Salone del Libro 2022.