Primo maggio: mentre in Francia, i nostri cugini d’Oltralpe si organizzano per protestare per i diritti dei lavoratori e in Italia facciamo il solito concertone, che tanto noi siamo sempre quelli dei tarallucci e vino, mi sovviene una proposta di lettura che ho trovato molto interessante del – guarda caso – francese Edouard Louis.
Il libro è Chi ha ucciso mio padre,pubblicato da Bompiani nel 2019 e vincitore del Premio Salerno Libro d’Europa nel 2021.
Il tema di partenza ma – badate bene – non di arrivo, è quello del difficile rapporto col padre, descritto per immagini, ricordi di infanzia, vividi, che susseguono in maniera all’apparenza casuale. La frustrazione vissuta per sentirsi un figlio diverso, non accettato per quel suo atteggiamento troppo femminile, si trasforma e si lenisce. Emergono invece le contraddizioni di un uomo, il padre, abituato ad una cultura da macho, omofobo e razzista, che si ostina a voler disprezzare l’arte e finanche lo studio scolastico, ma di nascosto è fiero delle abilità canore del figlio e ama lui stesso cantare e ballare, vergognandosi della propria ignoranza. Un padre, consapevole in fondo, di essere anche lui un vinto, proprio come gli immigrati o gli omosessuali che lui tanto disprezza o che forse gli è stato insegnato a disprezzare. In fondo, è uno di loro, relegato ai margini della società, un operaio di periferia, schiacciato da turni di fabbrica insostenibili e uno stipendio da fame.
Il passato è rielaborato alla luce del presente, tempo in cui il padre è ormai malato, fragile, impotente di fronte alla sua esistenza negativa fatta di mancanze, da ciò che non ha avuto e non è stato.
È qui che il racconto autobiografico vira verso l’invettiva politica. Edouard prende coscienza della condizione paterna, in lui si fanno strada sentimenti di rabbia e al tempo stesso impotenza per le ingiustizie subite dal padre a causa di un lavoro massacrante che gli ha letteralmente spaccato la schiena, invalidandolo prima e costringendolo poi alla umiliazione di essere considerato dalla società un peso, negandogli oltre la capacità lavorativa anche la dignità di uomo. Questa è la condizione della società francese, quella che nega assistenza, diritti e dignità ai fragili.
Di chi è la colpa?
La colpa ha più volti e nomi, sono quelli dei politici che si sono succeduti in 30 anni di storia francese: Chirac, Sarkozy, Macron. Sono loro che con le loro politiche liberiste hanno distrutto le tutele minime dello Stato sociale e condannato la popolazione al disagio.
“I dominanti possono lamentarsi di un governo di sinistra, possono lamentarsi di un governo di destra, ma un governo non gli causa mai problemi di digestione, un governo non gli spacca la schiena, un governo non li spinge mai verso il mare. La politica non cambia la loro vita. Per i dominanti la politica è nella maggior parte dei casi una questione estetica: un modo di pensarsi, un modo di vedere il mondo, di costruire la propria persona. Per noi, era questione di vita o di morte.”
Èdouard Louis, classe 1992, ha la maturità, la lucidità e il coraggio di scrivere neanche trentenne uno struggente racconto autobiografico che è al tempo stesso un potente j’accuse. L’incomprensione, la rabbia, il respingimento provati nel rapporto col padre sono rielaborati alla luce della condizione di emarginazione sociale, dove lo studio e la cultura non sono strumenti di emancipazione, anzi, e dove non c’è spazio per l’empatia e la gentilezza. L’animo si fa duro, sprezzante, a causa di un lavoro sfiancante e de-umanizzante che toglie finanche la dignità. La vicenda personale si mescola con l’inquietudine sociale, di cui si fa paradigma. La riconciliazione familiare passa attraverso la comprensione reciproca quella di Edouard, mista a compassione per questo padre vinto, e quella del padre stesso, conscio della sua condizione, che conclude : “… ci vorrebbe proprio una bella rivoluzione.”