scritto da Rosa Montoro - 16 Aprile 2018 12:37

LIBRI & LIBRI Alla ricerca di senso

Questa recensione ha per me un significato emotivo e nasce dalla stima che ho avuto la fortuna di provare per il mio professore di filosofia, autore di questo libro che invito a leggere. Non mi meravigliano, conoscendolo, i due motivi che hanno ispirato la stesura del libro: un ciclo di conferenza tenutosi a Nocera Inferiore e l’affetto per un bambino conosciuto in Africa (morto di AIDS nel 2006).

Prima lasciatemi aprire una parentesi: quello che non smetterò mai di riconoscere a Lino Picca e agli uomini come lui (dispregiativamente sempre definiti, cattocomunisti) è la capacità di girarsi indietro e ricapitolare la propria vita senza aver paura di contraddirsi. Questa è una grande dote, l’unica che ci fa ricominciare a credere (nel senso laico e religioso del termine) e scoprire il senso del limite. La preghiera è questo: un atto di umiltà, ringraziare di quello che si ha, non è una cosa insita nell’uomo, ma s’insegna e si apprendere. In questo libro Lino Picca riconcilia tre fasi diverse della sua vita in modo eccellente: la giovinezza, dirigente nazionale della gioventù cattolica, l’età di matura, marxista convinto, impegnato politicamente a sinistra e in fine “nel mezzo della sua vita” (come lui ci dice) ritorna alla figura di Gesù e del Vangelo senza lasciare nessuna delle sue convinzioni.

Per circa 160 pagine ho ritrovato la sua indimenticabile capacità espositiva. Infatti, riesce a superare le espressioni tecnicistiche senza far perdere nulla dell’intensità dei temi trattati.  Eppure mi sono chiesta che succede? Dove vuole andare a parare? Qual è la palla del gioco?

Poi con grande sorpresa si è aperto uno scenario diverso nella seconda parte. Ho ritrovato di nuovo il professor Picca: è lui non è cambiato, ha solo ricomposto il mosaico della sua vita. L’immagine che ne deriva è interessante e si staglia sullo sfondo della teoria della liberazione che nasce dall’interpretazione dell’otto beatitudine. Ed è Papa Francesco che ha riportato a casa il figliol prodigo. Infatti, rappresenta per lui tutto quello per il quale ha lottato, quello che “qualsiasi madre vuole per i propri figli, anelito che dovrebbe essere alla portata di tutti, ma che oggi vediamo con tristezza sempre più lontano dalla maggior parte della gente: tierra, techo e trabajo (le tre T: terra, casa, lavoro). È strano, ma se parlo (dice ancora Papa Francesco) di questo, per alcuni il papa è comunista. Non si comprende che l’amore per i poveri è il centro del vangelo. Terra, casa e lavoro quello per cui voi lottate sono diritti sacri” (Papa Francesco – incontro con i movimenti popolari – 28/10/2014 aula del Sinodo).

Il filo argomentativo del libro del professor Picca è molto alto: la ricerca di senso. Non ho la pretesa di controbattere alle sue tesi e men che mai alle conclusioni, la mia sarà una riflessione ispirata dalla lettura e da un tema che non può non coinvolgere nell’intimo ogni essere umano.

Il libro apre con Socrate (ho sempre immaginato che il professore gli somigliasse, considerata la sua capacità maieutica), Aristotele e Platone i tre pilastri dell’antichità che costruiscono la ricerca di senso intorno all’essere individuo (io) e comunità (stato), dentro questi temi nascono le grandi domande della riflessione filosofica: la vita ha un senso? L’uomo è superiore agli altri esseri viventi? Che cos’è l’anima, sopravvive al corpo? E così via.

Alla ricerca di un senso…” ci mette davanti, come negli anni di studio, alle sudate carte (direbbe Leopardi) il tentativo umano di comprendere che questi pensatori hanno fatto. Sappiamo ora, in età adulta che non possiamo pensare di trovarvi verità divine, così come sappiamo di non poter fare a meno di cercarla, perché questo nutre e sostiene lo spirito umano. La nostra anima ha bisogno di cibo, come il nostro corpo, ci dicono questi pensatori. E il senso forse è proprio nel viaggio, nel guardare il mare aperto e andare come Ulisse, lasciando il porto sicuro (la verità data per certa). Niente è per sempre, soltanto il limite ci spinge oltre, segna la strada di domande, ma anche di speranze. Attraverso questi pensatori abbiamo appreso che le rotte sono infinite, come le verità, che fermarsi ed eleggere una come eterna, ci fa sentire al sicuro, ma ci immobilizza e ci guida verso comportamenti istintuali ed animaleschi nel tentativo di difenderla, nel tentativo di proteggere la nostra tana, che spesso coincide con privilegi immeritati. Il cibo della nostra anima è, invece, la speranza, è il tentativo costante di costruire un futuro, è la spinta a conoscere il diverso, l’altro, il prossimo (ci dice Gesù). Ma per conoscere dobbiamo aver il coraggio di lasciare, partire. La forza che dobbiamo mettere nelle nostre braccia remando la possiamo chiamare in tanti modi, ma il senso è sempre lo stesso: fede.

Che cos’è la fede? Abbiamo tutta la vita per chiedercelo, ma dobbiamo spogliarla della veste religiosa o meglio non dimenticare che è una veste. Adamo ha scoperto la sua nudità mangiando la mela della conoscenza, quella che Dio gli aveva proibito è la verità eterna. Forse gli animali rimangono al cospetto di Dio e alla verità (se si può chiamare tale) eterna dell’istinto. Gli uomini, da Adamo in poi, sono stati cacciati da quel paradiso terrestre e vedono tutti i loro limiti. Da allora l’uomo sa che qualsiasi veste indossi, per quanto lussureggiante, alla fine diventerà logora e sudicia, scoprirà nuovamente la carne viva e mortale.

E allora quello che abbiamo è questo: la fede. “Fede è la sostanza di ogni speranza” (Dante Alighieri Paradiso XXIV, 64), nessun essere umano, dunque, può guardare al futuro, disegnare un obiettivo senza fede. Gli esseri umani cominciano a credere nel momento in cui cominciano a sperare che i propri desideri si realizzino e senza desideri non si va oltre il presente, oltre l’individualismo. “Dio è morto” con la consapevolezza che non possiamo accedere all’assoluto, alla verità eterna. (F. Nietzsche, La gaia scienza, aforisma 125: “Cerco Dio! Cerco Dio!”… Dove se n’è andato Dio? – gridò – ve lo voglio dire! Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto questo? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all’ultima goccia? …”).

Ma la follia più grande (Erasmo da Rotterdam) è quella della croce che non fa nessuna distinzione tra amici e nemici, indossa la “veste di un leone … e la felicità ricercata con tante pene, non è altro che una forma particolare di follia” (testo n. 6 – Erasmo da Rotterdam).

 

Lino Picca nato a Cervinara nel 1940, laureato con il massimo dei voti in filosofia nel 1963, all’Università Federico II di Napoli. ha insegnato “filosofia e scienze umane all’istituto A. Galizia di Nocera Inferiore dal 1970 al 2004. Dal 1961 al 1968 è stato dirigente della “gioventù cattolica”, ricoprendo per diversi anni il ruolo di responsabile nazionale. Dal 1970 è stato impegnato nel sindacato e nei movimenti cristiani per il socialismo nella sinistra extraparlamentare. È stato dirigente regionale della CGIL e ha presieduto diverse associazioni educative, in particolare il “Centro dei diritti dei bambini G. Donato” nel villaggio di Quiha in Etiopia.fede,

Rosa Montoro è nata a Sarno e vive a Cava de’ Tirreni, laureata in Sociologia lavora in un ente pubblico, è sposata e ha due figlie. Ha ricevuto vari premi per la poesia, nel 2017 ha pubblicato "La voce di mia madre", una raccolta di poesie inserita nel catalogo online “Il mio libro” – Gruppo editoriale Espresso. Per la narrativa è stata premiata nel 1997 per il racconto "Il cielo di Luigino" pubblicato nel testo collettaneo “Nuovi narratori campani” dell’editore Guida di Napoli. Lo stesso editore ha pubblicato nel 2000 il romanzo breve "Il silenzio della terra" premiato nel 2001 al Concorso Europeo di narrativa “Storie di Donne” FENAL circoli europei liberi, secondo premio. Infine, "Il Circolo degli illusi", edito da Oedipus - 2018.

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