Da questo mondo governato dagli algoritmi, non ci estingueremo a causa dell’imprevedibile.
E infatti, scommettiamo, non sarà un evento inaspettato a cancellare la vita dal pianeta terra, ma qualcosa sotto gli occhi di tutti ma che nessuno ha voglia di vedere.
Sarà l’algoritmo a vederlo per noi. Lui che sa tutto, o quasi.
Noi intanto possiamo decidere di ignorare i fatti, di non guardare per la paura. O per ignoranza, sicurezza o semplice distrazione. Casomai si incrini il verso dritto della storia, meglio credere ad un presente parallelo: morbido e rassicurante.
Siamo sempre accreditati a partecipare alla collettiva miopia alimentata dalla tracimazione dei social e dalla levità ammaliante dei programmi televisivi.
Ma si! Meglio non guardare!
L’obiettivo rimane arrivare sufficientemente vivi, rincoglioniti ma vivi, al momento della propria morte, scansando le ansie.
D’altronde, siamo o non siamo solo di passaggio? Basta resistere pochi anni.
Scritto prima del diffondersi della pandemia, ma girato subito dopo la prima ondata, “Don’t look up”, film di Adam McKay con Leonardo Di Caprio e Meryl Streep (tra gli altri) stupisce perché contravviene alla propensione per la retorica melò (non completamente però) del cinema a stelle e strisce, sbattendoci in faccia un futuro improbabile ma non impossibile.
Sul palcoscenico di un’America arrogante e implacabilmente ingenua dove è più comodo credere alle rassicurazioni che alle minacce, gli appelli degli astronomi terrorizzati dall’arrivo di una cometa in rotta con la terra, cadono nel vuoto inghiottiti dalle regole dello show.
E chiaro: le emergenze planetarie sono troppo numerose e frequenti. Virus, inquinamento, cambiamenti climatici: non si può avere un piano pronto ed efficace per ogni catastrofe più o meno imminente.
E se il direttore del centro astronomico nazionale non sa nulla di stelle e il capo gabinetto della Casa Bianca è il figlio incapace del Presidente coinvolto in scandali sessuali e giudiziari (quante analogie con le nostre misere faccende di provincia!) che pende dalle labbra del suo finanziatore 3.0, salvarsi è impresa dura. Intanto le elezioni sono sempre troppo vicine per dare cattive notizie. I followers potrebbero mettere “like” agli avversari e dirottare i voti altrove.
L’interrogativo è inquietante e al tempo stesso vano: scamperemo alla cometa, ma soprattutto riusciremo ad impedire che l’algoritmo sappia sempre tutto di noi?.
Male che vada possiamo rivederci tra qualche decina di migliaia d’anni.
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