L’ARCHRITICO In cima alla torre
Grazie ad un intervento di restauro e l'inserimento di una scala metallica, la Torre dello Ziro, baluardo tra Amalfi e Atrani, torna ad essere luogo dal quale guardare l'orizzonte

Curioso destino quello delle torri di avvistamento. Nate per guardare, sono finite per essere guardate. Inevitabile sorte considerata la posizione dove vennero costruite; l’isolamento che le rese indispensabili cannocchiali verso l’orizzonte le ha trasformate, da ruderi, in obiettivo degli sguardi.
A Scala la cittadina più antica della costa d’Amalfi, resiste un brandello di ciò che fu il castello di Scalella su un vertice del monte Aureo, si tratta della torre dello Ziro risalente al XII secolo, di forma cilindrica, disposta su tre livelli di cui quello alla base originariamente destinato ai detenuti e poi diventato riparo per gli escursionisti.
Passata attraverso una serie di manomissioni ed infine sfregiata da un fulmine a metà del secolo scorso, la torre dello Ziro svetta ardita, lassù nel panorama, proprio nel mezzo tra Amalfi ed Atrani.
Raggiungerla era impresa ardua fino a qualche tempo fa, cioè fino a quando lo sterrato, che dalla frazione di Pontone si arrampica intorno alla collinetta, è stato tracciato e ribattuto.
Alla Torre dello Ziro oggi si giunge percorrendo un sentiero che parte dalla frazione Pontone di Scala; il percorso è segnato da indicazioni in ceramica. Occorrono circa 30 minuti e non presenta particolari difficoltà.
Dal 2006, grazie ad un progetto degli architetti Cherubino Gambardella e Simona Ottieri, successivamente realizzato grazie ad un finanziamento della comunità europea, la torre è tornata ad essere terrazza-cannocchiale per i visitatori. Lo strumento decisivo è una scala metallica, che si arrampica tra la struttura cilindrica della torre, rimbalzando da un bordo all’altro fino ad uscire dalle tenebre dello spazio. E del tempo.
Il progetto faceva parte di un piano più ambizioso, un parco a tema sull’intera area del castello di Pontone, operazione rimasta in embrione con qualche frammento di arredo urbano e il belvedere posto più in alto, segnato da un obelisco-parafulmine in cemento e ferro.
Ma è la torre il centro del tutto, l’antico baluardo di nuovo fruibile, a raccogliere l’attenzione del viandante; con la sua scala a balaustra luminosa e l’ascesa che dal buio si inerpica verso l’attesa sommità. Un lavoro che ha riguardato anche le pareti, rinfrancate dal getto di calcestruzzo biancastro e la risarcitura delle lesioni, segnate in giallo cammello.
Sui piani orizzontali, canne in castagno tinteggiate in bianco come a «sconsigliare» la sosta, a comprovare che ci troviamo al cospetto della sacralità di un rudere, non violabile oltre il percorso previsto.
La torre dello Ziro rientra in quei luoghi che ancora causano stupore. E l’intervento, realizzato con infinite difficoltà (si pensi al trasporto dei materiali) anche se in parte usurato (i tronchi di castagno logori, la scala che non si illumina) merita il plauso che spetta al coraggio di occuparsi dei ruderi prima di tutto ma anche all’obiettivo, centrato, di ridare un significato, quello primordiale, alla torre.