Il mondo intero e la Comunità scientifica sono ormai impegnati da lungo tempo a fronteggiare l’emergenza del Covid-19. La maggior parte degli sforzi è diretta verso problemi di natura pratica, in particolare per evitare i contagi e ridurre la mortalità, in una quotidianità completamente sovvertita.
Allo stesso tempo però si cerca anche di prevedere le conseguenze di aspetti apparentemente meno eclatanti, ma i cui effetti potrebbero palesarsi a distanza.
Le misure di distanziamento sociale che di certo possono avere effetti importanti sul benessere delle persone in relazione ai contagi, potrebbero invece incidere pesantemente sui percorsi di chi, bambino o adolescente, attraverso la socializzazione, definisce se stesso e la propria identità.
Mentre per i più piccoli, i bisogni relazionali possono essere soddisfatti almeno temporaneamente dagli adulti di riferimento, per gli adolescenti, che stabiliscono relazioni più complesse con i coetanei, la deprivazione sociale può avere effetti a lungo termine sulla salute psicologica.
Gli adolescenti hanno bisogni specifici distinti da quelli infantili o dell’età adulta. In questo periodo, si sono imbattuti nella dimensione della responsabilità e sacrificio in maniera potente. Nulla è più impegnativo che togliere la libertà a una persona e noi stiamo chiedendo loro di stare “imprigionati” proprio in una fase della vita che per definizione si deve svolgere fuori, e vivere di esplorazione e di relazione.
Da un giorno all’altro, si sono visti reclusi nelle proprie abitazioni e lontani da tutto ciò che in adolescenza permette di sostenere lo sviluppo. Ovviamente è doveroso che gli adolescenti siano obbligati a restare in casa in questo momento, come è chiesto al resto della popolazione. Ma nello stesso tempo è necessario avere consapevolezza dell’impegno e del paradosso che è loro richiesto; è imposto loro di rinunciare agli strumenti (come la socialità e la scuola) e ai momenti fondamentali che servono per costruire la loro identità e porre le basi del loro futuro.
Fino a mesi fa, motivo di preoccupazione per genitori docenti ed esperti nel settore, era rappresentato dalla ridotta socialità tra i giovani, immersi nella maggior parte del loro quotidiano in un mondo virtuale, dove sentirsi a proprio agio, protetti.
In questo periodo così complesso invece, i rapporti familiari, la socialità, le relazioni lavorative, sono stati stravolti dall’emergenza, e gli strumenti di comunicazione mediata non sono più una scelta per nessuno, ma una necessità.
Siamo passati in un attimo, da ciò che è considerata una sindrome adolescenziale allarmante come l’Hikikomori, ad una situazione, seppur confinata in un determinato periodo, in cui il ritiro sociale diventa una necessità che entra a far parte della quotidianità dei giovani.
Oggi, il fenomeno dell’Hikikomori, arrivato dall’Oriente, non è più frutto di una scelta dolorosa dettata da una profonda fragilità interiore, ma dalla necessità di doversi isolare per preservare la propria salute e quella degli altri.
L’adolescenza, come sappiamo, è un periodo delicato e complesso, caratterizzato da alcuni bisogni e sfide specifiche. Tra questi il bisogno di autonomia e separazione dai genitori, al fine di costruire una propria identità, attraverso nuove relazioni al di fuori da quelle familiari.
Purtroppo, in questa sospensione del tempo e dello spazio attuali, gli adolescenti sono necessariamente confinati in spazi limitati, con un protrarsi sempre uguale delle giornate, senza che si possa sapere quando terminerà questa sospensione.
L’interazione tra i cambiamenti dello stile di vita e lo stress psicosociale causato dal confinamento in casa potrebbero avere effetti dannosi per questa fascia d’età, e instaurare un pericoloso circolo vizioso da cui potrebbe essere difficile uscire una volta terminato il lockdown.
Si consideri la situazione di molti adolescenti che, prima dell’emergenza sanitaria che stiamo vivendo, presentavano un ritiro sociale, ragazzi e ragazze che rimanevano la maggior parte del tempo confinati nelle loro camere e che evitavano ogni forma di relazione reale privilegiando quelle virtuali. A loro era diretta la grande preoccupazione dei genitori e delle strutture scolastiche, educative, psicologiche, e lo sforzo congiunto per promuovere la socialità contrastando l’isolamento. Si è verificato poi un rovesciamento di prospettive: è necessario adesso promuovere proprio quell’isolamento e quella solitudine da cui volevamo guarirli.
Lavori pubblicati parlano di resilienza degli adolescenti durante l’epidemia Covid-19, ma la resilienza, che indica la capacità degli individui di affrontare anche le più gravi calamità attraverso un cambiamento positivo, è spesso un obiettivo da sostenere attraverso il supporto sociale, educativo, psicologico.
Quello che troveremo sarà forse un mondo molto diverso da quello che abbiamo lasciato, in cui l’obbligo a mantenere la distanza fisica e le precauzioni contro il contagio renderanno meno lineare e spontanea la socialità e le relazioni. E gli adolescenti stessi saranno usciti cambiati da questa reclusione forzata.
Stiamo chiedendo loro di fare esattamente il contrario di quello che evolutivamente sarebbero chiamati a fare. E se siamo incoraggiati a rassicurarli dicendo loro che questo tempo passerà, che la vita riprenderà non sapendo però esattamente quando, non offriamo una visione pensabile del futuro che sia veramente di sostegno alla speranza.
Per loro, però, dentro questo sacrificio c’è anche un allenamento alla vita che forse nel terzo millennio non avremmo mai immaginato di dover imporre.
Ancora una volta possiamo prendere spunto dal grande Leopardi, così attuale in questi giorni. Quel Leopardi che chiude tutto il suo percorso interiore con l’immagine della ginestra, il fiore del deserto. Mentre, ci trasmette che siamo chiamati a consolare, come dice lui, a profumare e a migliorare il deserto, fiorendo; e non possiamo prendere il deserto come alibi per non fiorire, ma prendere nel deserto proprio l’occasione, addirittura il nutrimento, per fare qualcosa di bello al mondo.
E rivolgiamo questo pensiero ai giovani in particolare, come un invito a rivalutare la prospettiva della fase che li attenderà dopo questo momento, e a considerarla la risultante di una forte rielaborazione individuale e sociale. Cambierà il nostro modo di stare al mondo, e potrebbe essere una opportunità che ognuno trasformerà in qualcosa… positiva o non.