CINEMA Torna Lanthimos con Kinds of Kindness
Torna al cinema Lanthimos con un nuovo con una nuova opera che lascia, nel bene e nel male, senza parole. Dopo il clamoroso successo di Poor Things! che l’ha visto vincitore di un Oscar, Lanthimos presenta, al festival di Cannes, Kinds of Kindness, il suo nono lungometraggio

Torna al cinema Lanthimos con un nuovo con una nuova opera che lascia, nel bene e nel male, senza parole. Dopo il clamoroso successo di Poor Things! che l’ha visto vincitore di un Oscar, Lanthimos presenta, al festival di Cannes, Kinds of Kindness, il suo nono lungometraggio. Già dall’estetica e dalle prime scene è chiaro che il regista è tornato sui suoi passi, riproponendo temi a lui cari dei primi film.
D’altronde, il fatto che lo sceneggiatore di questo film, ovvero, Efthimis Filippou, sia lo stesso di Dog tooth, The Lobster e Il Sacrificio del Cervo Sacro, non è un caso. Un ritorno al passato con un cast molto attuale che mette in scena la terza collaborazione tra Lanthimos e Emma Stone che rappresenta ormai, senz’altro, l’attrice feticcio del regista e che conferma la sua bravura. William Dafoe al suo secondo lavoro con il regista, dannatamente persuasivo e perfetto per questa pellicola. Sorprendente invece, la recitazione di Margareth Qualley, anche lei alla sua seconda collaborazione, dopo Poor Things!. Piacevole primo progetto lavorativo tra Jesse Plemons e Lanthimos, che si presta bene ad incarnare il ruolo della gentilezza, fil rouge della pellicola. Kinds of Kindness non è un film ma un racconto che viene violentemente vomitato attraverso tre storie che compongono la pellicola.
Nauseante e attraente, Lanthimos ci ripropone in maniera ossessiva il suo cinismo ironico. I temi sono quelli, quindi, dei primi film, la continua lotta tra Eros e Thanatos, razionale e irrazionale, il perturbante e l’accattivante, il regista non ci dà nulla di più e nulla di meno di quello che già ci aveva regalato nei suoi primi lungometraggi. È stato molto criticato, Lanthimos, proprio per aver portato all’estremo discorsi già affrontati in altri film, ma, la verità, e che da questo lungometraggio non ci si deve aspettare nulla se non questo. Lanthimos mette proprio in discussione l’idea stessa del vedere un film con una pretesa finalistica. Da Kinds of Kindness non si avrà una storia raccontata non si avranno né risposte né domande, da questo film non si avrà nulla se non la possibilità di abbandonare ogni morale ogni dogma e conoscenza per entrare in un loop ossessivo di lotta con noi stessi tra la voglia di (spoiler) non guardare una persona che si taglia il dito e ridere perché un’altra lo vuole mangiare.
La dinamica alla base della pellicola è il potere, o meglio il controllo delle pulsioni da parte del potere. Questa dinamica del controllo è suggerita attraverso un meticoloso lavoro di sorveglianza degli impulsi da parte di chi detiene il potere, che si fa via via sempre più intenso nelle tre storie attraverso un climax ascendente che sottopone lo spettatore ad una sorta di immedesimazione nei personaggi. Es e Super io, le pulsioni che lottano contro un potere esterno che le manipola le frena, ma non nella modalità con cui siamo abituati dalla società, bensì attraverso una attraente perversione perturbante di manipolazione gentile. Controllo di cosa si ingerisce, l’elemento dell’alimentazione è strausato dal regista per suggerire questa dinamica: (spoiler) “mangia una cotoletta alle ore 7:00“, la carne al sangue, le dita mangiate, il fegato, il pesce non si mangia, si beve tanta acqua ma controllata. Ogni cosa che si ingerisce risponde a questa dinamica di lotta tra impulsi e potere attraverso un racconto perverso che arriva a smuovere gradi di eccitazioni angosciante. Nella prima pellicola il controllo è governato da una dinamica di servo padrone, già affrontata molto dal regista in Dogtooth. Un padrone che esprime il suo controllo attraverso dogmi razionali espressi con gentilezza ma che ricreano questa dinamica totalitaria che costringe il “servo” ad essere schiavo di quelle leggi anche senza l’occhio attento del padrone.
La seconda storia, forse quella meno riuscita, abbandona il lato razionale per sviscerare gli impulsi umani che Lanthimos vuole affrontare. Questa storia può quasi essere vista come un disclaimer che il regista fa: dopo aver mostrato la forza del potere, vuole invece riportare l’attenzione a cosa deve essere controllato. (spoiler) I cani sono gli umani, noi siamo cani, le nostre voglie, alimentari e sessuali vengono qui messi in scena attraverso immagini disturbanti ma allo stesso tempo patetiche, così patetiche da suscitare quella inaspettata voglia di ridere.
Il riso di fronte a queste scene non è un riso razionale, provocato da ironia, ma suscitato proprio da quella patetiche scene messe in atto, come ad esempio (spoiler) la tuta indossata da Dafoe nell’ultima storia o il ballo finale di Emma Stone. Si arriva così all’ultima storia, la più completa, dove finalmente il potere assume la sua vera naturale forma totalitaria incarnata attraverso l’esistenza di una setta che controlla ogni impulso delle persone assoggettate. Nella terza storia anche l’elemento della morte viene finalmente palesato attraverso la folle ricerca di (spoiler) una persona che riesca a riportare in vita i morti. Controllo sulla morte, paura di morire, il potere vuole essere divino, ultraterreno. Finale amaro ma più che giusto.
Il ballo della Stone non è archetipo e liberatorio come in PoorThings! ma è scarno e patetico regalando un’ultima risata inaspettata che ci fa chiedere: “ma perché sto ridendo“, o meglio “ma cosa ho appena visto?“. Grazie anche alla colonna sonora Pop, decisamente volutamente inappropriata, Kinds of Kidness è nulla di più e nulla di meno di quello che si vede lasciando proprio quella sensazione di non aver visto bene, o meglio, di non aver capito nulla.