Affrontare il racconto e la storia di un Protagonista, è sempre, di primo impatto, un’attività mastodontica. A tratti addirittura, per certi aspetti, megalomane. Ti trovi di fronte a un infinito di immagini, frasi, voci, colori e suoni e devi sceglierne pochissimi per fare centro. Pochi tratti clou per dare l’idea di quello che vuoi dire. Ce la fai, amico mio, solo se hai l’ispirazione dalla tua. Altrimenti meglio lasciar perdere. Ci ho pensato quando ho visto La Grande Bellezza. Per parlare di Roma hai un set sconfinato di messaggi e contesti. Pochissimi con cui però indirizzare un messaggio preciso e Sorrentino lo ha fatto.
La stessa impressione assistendo alla proiezione de “Il Giovane Marx” di Raoul Peck, regista haitiano formatosi all’Accademia del Film e della Televisione di Berlino e amante della cultura del nostro Bel Paese.
Indipendentemente dall’essere o meno di sinistra, che fa molto ma veramente assaje Nanni Moretti, e sempre che ce ne sia ancora una, il film incuriosisce, primus movens, per vedere fino a che punto, oggi, è possibile fare un ritratto, comprensibile, di Karl.
Il lavoro può considerarsi, da questo punto di vista, un’opera riuscita perché offre un racconto abbastanza personale dell’intellettuale e attivista Marx: dalla giovinezza ebbra e scarmigliata, fino alla dissidenza che lo costringe, nel pieno della notte e pargoli al seguito, a cambiare paese, città, destinazione. Al centro due pilastri su cui il racconto si sofferma: il rapporto con la compagna e poi moglie, Jenny von Westphalen, che lo supporta in ogni briciola di pensiero e azione, e l’amicizia, fraterna, con Engels da cui nasce e si sviluppa il pensiero, che comunque, il Mondo ha cambiato.
Può sembrare celebrativo o personale il ritratto ma il valore del film sta tutto nel mettere al centro alcuni passaggi chiave dell’uomo Marx, anzi del “giovane Marx” che a 30 anni ha già maturato il nucleo più pesante del pensiero, che si incrociano con il cambiamento storico: la nascita del pensiero comunista e del movimento operaio. Passaggi storici che hanno contribuito a cambiare le condizioni di vita e di lavoro dell’epoca e a disegnare, anche, il Mondo per come lo conosciamo.
Uscendo dal Cinema Farnese, Piazza Campo de’ Fiori ho pensato alla dialettica, in Fromm, tra Essere e Avere: il mondo è frutto anzitutto di un confronto, infinito e mai sintetizzato, tra l’essere, dimensione legata alla propria natura profonda, e l’avere, in cui l’identificazione esce dalla semplicità dell’essere e si allarga, a macchia d’olio, verso l’avere, dimensione espansa dell’autoconservazione e della sopravvivenza.
“Il Giovane Marx” , quindi, sposta la Luce su di un tema che, per vari motivi e indifferenze, tutti abbiamo dimenticato, travisato, sprecato: il rapporto indissolubile ed essenziale tra l’Uomo e il lavoro. Molto attuale e centrato, divertente, in questi tempi di dialettica, a volte poco concreta, tra neo-luddisti (gli uomini sono sempre e comunque meglio delle macchine) e tecno-entusiasti (le macchine pareggeranno l’essere umano).