CINEMA Hammamet di Gianni Amelio: un film da non perdere con un Bettino Craxi redivivo grazie a Pierfrancesco Favino
Non voglio assolutamente duplicare l’ottimo articolo di Innocenzo D’Atri, dal titolo “Il cinema al potere”, pubblicato qualche giorno fa su questo giornale, degno di approfondite riflessioni, anche per i riferimenti ad un capolavoro della cinematografia mondiale, “L’attimo fuggente” che ha ispirato una intera generazione di giovani sensibili alla cultura e all’arte i quali, probabilmente anche grazie ad esso, hanno cambiato la loro vita.
Desidero solamente portare un mio contributo, una mia riflessione scaturita dalla visione del film “Hammamet” di Gianni Amelio, che io considero surreale, nel senso che oltrepassa la dimensione della realtà, vola nell’irreale; e non potrebbe essere altrimenti in quanto fotografa uno scorcio di vita, gli ultimi anni di un personaggio di grande statura politica e anche umana, che ha certamente commesso errori, peraltro ammessi, ma ha fatto anche cose buone, sull’operato del quale non è ancora giunto il momento di scrivere una pagina di storia in quanto è ancora troppo poco il tempo trascorso dalla sua morte e molti personaggi che intorno a quella figura hanno ruotato sono ancora in vita.
Infatti, intelligentemente, il regista Gianni Amelio non ha mai menzionato nomi, limitandosi a disegnarli con la forza dell’interpretazione e a ricostruire circostanze, senza basarsi su dati reali, che sono inesistenti, ma su ipotesi verosimili che, però, rimangono pur sempre delle ipotesi; e con le ipotesi non si fa la storia, pure se rimangono i fatti e le tracce che i personaggi hanno lasciato.
Gianni Amelio, poliedrico regista “sudista” (nativo di Catanzaro), autore di film di successo come “I ragazzi di Via Panisperna” del 1988, “Il ladro di bambini” del 1992, “Lamerica” del 1994, “La tenerezza” del 2017 (per citare solo i più noti) e vincitore di numerosi premi, con “Hammamet” affronta una pagina della Storia d’Italia sulla quale persiste una lettura molto contrapposta: Craxi era un “maleducato, manigoldo, malfattore, malvivente e maligno”, o un uomo dalla statura fisica e politica imponente “circondato da nani”, bersaglio di una “congiura contro la sua persona” più che contro un sistema di cui “tutti facevano parte”?
Rispondere a questo quesito è indubbiamente difficilissimo e rischioso, oltretutto a causa della difficoltà di giudicare un personaggio così complesso come Craxi, il quale, pure avendo avuto il coraggio di ammettere pubblicamente di aver ottenuto tangenti, ebbe anche il coraggio di denunciare che tutti i partiti -dopo l’abolizione del contributo pubblico a seguito dello scandalo suscitato dalla tangente percepita da Mario Chiesa del Pio Albergo Trivulzio di Milano- avevano seguito la stessa strada perché “Mi spiace deludere qualcuno ma la democrazia ha un costo” come ebbe a dire in uno dei suoi interventi.
Quindi il personaggio, a vent’anni dalla sua morte “in esilio”, continua a far discutere, con contrapposti sentimenti di coloro che lo hanno crocifisso all’epoca, e ancora lo fanno, come, ad esempio, Marco Travaglio che recentemente ha detto: “Vergognoso quello che sta accadendo in questi giorni: sembra che chi ricorda che Craxi era corrotto debba discolparsi”, rincarando la dose: “Attraverso Craxi morto si cerca di riabilitare i ladri vivi”; probabilmente è la considerazione più lucida.
Un amico giornalista, riferendosi al film di Amelio, ha recentemente scritto sul suo blog: “Strano Paese, dicevamo, quello delle riabilitazioni e delle beatificazioni postume, stranissimo e incomprensibile concentrato di matti ed esaltati che del nulla son capaci di mostrare materia viva visibile soltanto a se stessi. Passati da uomini dalle grandi abilità politiche, talvolta anche d’altro, a figuri incompetenti e pericolosi collocati irresponsabilmente in settori delicati della vita della nazione, spesso in grado solo di far danni”.
Entrambi sono caduti, a mio avviso, nella trappola che il film ha teso a tutti coloro che si lasciano coinvolgere in una analisi politica che certamente non è nelle intenzioni del regista.
Dall’altra parte vi sono coloro che di Craxi hanno non solo un buon ricordo, ma una considerazione positiva della sua vita politica, asserendo che sia stato uno dei più grandi statisti della nostra repubblica, e tanti quasi lo santificano, cadendo pure essi nella stessa trappola.
Ma, ripeto, a mio avviso il film di Gianni Amelio non deve essere considerato una pagina di storia, ma solo il ritratto di uno scorcio di vita di un personaggio che comunque, nel bene e nel male, è stato un protagonista ed ha lasciato una traccia nel nostro paese.
Secondo me, il pregio principale del film di Gianni Amelio, oltre a far riflettere su uno periodi più difficili della vita della nostra repubblica, ma durante il quale c’erano personaggi politici di elevata statura che nei decenni successivi non abbiamo più avuto, tant’è che oggi ci accapigliamo per giudicare autentiche “mezze calzette” che si ergono a grandi statisti, è la imponente statura artistica e interpretativa di attori di grande livello, tutti bravi, ma sui quali giganteggia Pierfrancesco Favino, irriconoscibile grazie ad un trucco operato da una equipe di truccatori che lo hanno tenuto impegnato per oltre cinque ore durante tutti i giorni delle riprese.
Ma non è solo per questo aspetto fisico che Favino giganteggia, ma anche per la sua interpretazione della figura di Bettino Craxi, al punto da far pensare allo spettatore che Favino sia Craxi redivivo.
C’è un altro grande della cinematografia contemporanea che ha saputo trasformarsi al punto da somigliare, non solo fisicamente, ai personaggi che ha interpretato, parlo di Toni Servillo che si è calato in personaggi come il Divo Andreotti, Berlusconi di Loro-1 e Loro-2.
Favino è un nuovo Servillo con dieci anni di meno; e anche per questo Hammamet è un film da non perdere.