Mi sono convinto con una certa di riluttanza a vedere questo film, che, almeno dalle prime informazioni della stampa, sembrava una specie di riedizione del film di Ettore Scola “C’eravamo tanto amati” del 1974.
Non me ne sono pentito in quanto, sebbene il canovaccio di questa ultima opera di Gabriele Muccino rispecchi il film di Scola, è un’opera importante per la rappresentazione del nostro paese, in quanto fotografa uno spaccato di quarant’anni della nostra società, dal 1980 ai giorni nostri, visti con gli occhi di quattro amici, dall’adolescenza ad oggi.
Questo, rispetto al film di Ettore Scola, dà al film di Muccino un valore aggiunto giacché quello di Scola ricostruiva la storia di quattro amici già maturi, orientandosi prevalentemente sul maggiore o minore loro impegno politico, maturato dal periodo tragico della resistenza partigiana in avanti, mentre i quattro amici del film di Muccino sfiorano l’aspetto politico per approfondire maggiormente quello sociale degli ultimi quarant’anni della nostra società, tracciando il ritratto efficace di una generazione nata nel 1964 e i cui protagonisti sono oggi cinquantacinquenni o giù di lì, e il regista li mette a fuoco con una perfezione ineguagliabile grazie anche ad una perizia interpretativa di grande livello.
Pierfrancesco Favino è l’avv. Giulio Ristuccia, che nonostante la sua misera origine diviene un avvocato di fama, ricco e affermato, tradendo però in parte le aspirazioni giovanili.
Kim Rossi Stuart è il prof. Paolo Incoronato, il docente che stenta a far riconoscere il suo talento e la sua cultura e che con fatica, perseveranza e grandi sacrifici riesce alla fine a conquistare la cattedra nello stesso Liceo nel quale aveva studiato.
Claudio Santamaria è Riccardo Morozzi, l’idealista che tenta la strada del cinema senza risultati, rimanendo solo, povero e squattrinato.
Micaela Ramazzotti è la romantica, appassionata e inconcludente Gaia, donna dolce, fragile e impulsiva che non riesce a trovare un suo equilibrio né sociale né sentimentale, facendo varie esperienze romantiche e lavorative per trovare alla fine il suo equilibrio rifugiandosi in Paolo, il suo primo amore dei tempi del liceo, dopo averne sperimentati altri; Gaia è il personaggio chiave del film perché collega gli altri tre che pure in tempi diversi ruotano intorno alla sua gracile figura.
Inizialmente il film doveva intitolarsi “I migliori anni”, ma nel corso della realizzazione, su ispirazione di Claudio Baglioni, che alla fine canta in sottofondo la sua canzone, è poi uscito nelle sale con quello definitivo; le musiche sono di Nicola Piovani.
Ma non si può prescindere, nella recensione di questo bel film di Gabriele Muccini, dalla comparazione con l’altrettanto bel film di Ettore Scola in quanto le due opere, seppure ambientate in tempi e situazioni molto diverse, sono sovrapponibili: quattro i protagonisti di entrambe, tra i quali la donna e due uomini sono molto simili l’uno all’altro, quasi intercambiabili; l’avvocato Gianni Perego (Vittorio Gassman) di Scola potrebbe ben essere l’avvocato Giulio Ristuccia (Pierfrancesco Favino) di Muccino; il maestro Nicola Palumbo (Stefano Satta Flores) di Scola potrebbe ben essere il prof. Paolo Incoronato (Kim Rossi Stuart) di Muccini, sia pure con un epilogo differente; e, infine, Lucia Zanon (Stefania Sandrelli) di Scola, potrebbe essere Gemma (Micaela Ramazzotti) di Muccino.
Unica eccezione, tra i quattro personaggi, è la figura dell’infermiere Antonio (Nino Manfredi) di Scola che non trova riscontro in analogo personaggio in Muccino, il quale, però, nel suo film, ha introdotto la figura di Riccardo Morozzi (Claudio Santamaria), il mite e sempre disponibile idealista, sempre pronto ad aiutare tutti, perennemente squattrinato e alla ricerca di un suo ruolo nella società e nella famiglia, che trova solo alla fine allorquando riconquista la fiducia del figlio adolescente che temeva di aver irrimediabilmente perduto dopo la separazione dalla moglie.
Rispetto al film di Scola, ne “Gli anni più belli” di Muccino vi è in più l’inizio della storia dei quattro amici a partire dall’adolescenza, il che ha comportato che i quattro adolescenti sono stati interpretati da attori adolescenti, pur’essi bravi e adeguati alla esuberanza dell’età: Francesco Centorame è Giulio Ristuccia, l’avvocato, Andrea Pittorino è Paolo Incoronato, il professore, Matteo De Buono è Riccardo Morozzi, l’idealista, e Alma Noce è Gemma; la perizia della scelta e del trucco è tale che i personaggi adolescenti fanno individuare facilmente quelli adulti.
Nel film di Muccino la figura che maggiormente colpisce è quella di una bravissima Micaela Ramazzotti, donna palpitante, idealista ma inconcludente, che si butta a capofitto in tutte le esperienze che la vita le offre, sentimentali, sociali e lavorative, non disdegnando la ricerca di un suo equilibrio affettivo anche tra i suoi stessi compagni, ma che alla fine si ritrova sola e delusa per non aver mai aspirato a un ruolo sociale di un certo livello (alla fine della sua relazione con Giulio, quest’ultimo glielo rinfaccerà a muso duro), e si ritroverà cinquantenne in un teatro lirico a fare la mascherina che guarda, dall’ovale della porta di accesso alla sala, la rappresentazione dell’opera “Tosca” di Giacomo Puccini e, mentre il tenore canta l’area “E lucean le stelle”, divaga sulla sua vita vissuta e sulle innumerevoli scale salite sempre di corsa e con affanno che alla fine l’hanno condotta solo a fare quell’umile lavoro: e qui c’è un colpo di genio del Regista che, col sottofondo musicale dell’area operistica, fa salire di corsa a Gaia tante scale , dall’adolescenza alla maturità, cambiando l’immagine ad ogni piano in tante scene che vanno dall’adolescenza alla maturità: una sequenza che da sola vale tutto il film, metafora della vita di ciascuno essere umano che per conquistare qualcosa deve arrampicarsi, di corsa e con affanno, su tante scale.
Da non perdere, coronavirus permettendo.