scritto da Redazione Ulisseonline - 29 Aprile 2022 11:28

VI Rapporto Censis sull’avvocatura: redditi in calo del 6%

VI Rapporto Censis sull’avvocatura: redditi in calo del 6%

Nell’anno della pandemia i redditi medi calano sotto i 38.000 euro annui.

Il 28,4% degli avvocati considera molto critica la propria situazione, il 32,8% valuta la possibilità di abbandonare la professione, e il 63,7% lo farebbe a causa di motivi economici.

Le donne guadagnano meno della metà degli uomini, ma solo il 31,3% degli avvocati maschi ammette il gender gap

L’identikit dell’avvocato è maschio e meridionale, ma tra gli under 30 sono di più le donne. 

Nel 2021 sono 241.830 gli avvocati iscritti alla Cassa Forense, di cui il 94,3% risulta attivo, mentre il restante 5,7% è rappresentato da pensionati contribuenti. Rispetto al 2020 si osserva una riduzione degli iscritti pari a 3.200 unità (-1,3%).

Gli avvocati attivi sono 4,1 ogni 1.000 abitanti. La distribuzione per genere vede una leggera prevalenza maschile con il 52,3% sul totale.
La distribuzione per area geografica mette in evidenza il peso della componente meridionale sul totale degli iscritti: circa un terzo degli avvocati risiede al Nord, contro il 43,8% degli avvocati presenti nel Mezzogiorno e il 22,5% nelle regioni centrali.

Poco meno di sei avvocati su dieci hanno un’età inferiore ai cinquant’anni, mentre gli over 60 coprono una quota di poco superiore al 15%. Il dato porta l’età media degli iscritti a 48,7 anni e quella degli iscritti attivi a 47,2 anni. L’età media dei pensionati contribuenti è di 73,7 anni. Il peso delle donne sul totale degli iscritti è inversamente correlato all’età anagrafica, con una maggiore presenza femminile in tutte le classi d’età inferiori ai 55 anni: fatto 100 il totale degli avvocati con un’età inferiore ai 35 anni, il 59,1% è rappresentato da donne. È quanto emerge dal «VI Rapporto Censis sull’avvocatura italiana» realizzato per la Cassa Forense su un campione di oltre 30.000 avvocati.

Critica la situazione professionale: un terzo potrebbero lasciare.

 Il 28,4% degli avvocati ha definito molto critica la propria situazione nel corso del 2021, caratterizzata da scarsità di lavoro e da un generale senso di incertezza. Circa un terzo degli avvocati definisce la situazione abbastanza critica, sebbene ci siano margini per superare le difficoltà (32,8%).

Stabile e in continuità con il 2020, invece, la situazione per il 24,5%, mentre 14 avvocati su 100 rappresentano la quota di chi ha visto migliorare la propria condizione rispetto all’anno precedente.

In prospettiva, una valutazione positiva sugli anni 2022 e 2023 emerge dal 23,3% del campione, al quale si contrappone poco meno di un terzo (30,0%) che avverte un peggioramento nel corso di quest’anno e del prossimo. Non prevede grossi cambiamenti il restante 46,7% degli avvocati, ma la quota di professionisti che sta prendendo in considerazione l’ipotesi di lasciare l’attività riguarda circa un terzo degli avvocati (32,8%).

Chi intende lasciare la professione sarebbe spinto prevalentemente dai costi eccessivi che l’attività comporta e dal ridotto riscontro economico (63,7%).

Redditi in calo: più sfavorite le donne. 

Nell’anno della pandemia, il reddito medio annuo di un avvocato, iscritto alla Cassa, ha subito una riduzione di sei punti percentuali, collocandosi su una soglia di poco inferiore ai 38.000 euro.

La distanza fra il reddito medio di una donna avvocato e quella di un collega uomo è tale che occorre sommare il reddito di due donne per sfiorare (e non raggiungere) il livello medio percepito da un uomo: 23.576 euro contro i quasi 51.000.

La dinamica del reddito medio, osservato a partire dal 2005, riporta una tendenza declinante, dovuta all’allargamento della base degli avvocati iscritti e alla progressiva estensione della componente femminile. Segnala anche il periodo di sofferenza maggiore sopportato dalla professione in corrispondenza degli anni di recessione più dura per l’Italia, fra il 2012 e il 2017.

Solo nell’anno precedente alla pandemia si era registrata un’inversione di tendenza che aveva riportato il livello del reddito medio sopra la soglia dei 40.000 euro.

Il 29,9% degli avvocati ha visto aumentare il fatturato del 2021 rispetto al 2020, mentre il 42,4% ha registrato una diminuzione, quota molto più elevata rispetto a quella di chi è riuscito a mantenere la propria attività in condizioni di stabilità (27,8%).

Le prospettive di crescita della professione. 

Le traiettorie dello sviluppo trovano nell’ambito delle specializzazioni un ampio campo di dibattito all’interno della professione.

Per il 46,8% degli avvocati il diritto della crisi d’impresa e dell’insolvenza rappresenta la specializzazione, in ambito civile, con il maggiore potenziale di sviluppo nei prossimi tre anni.

Nell’area penale sono soprattutto le questioni legate a internet, all’informazione e alle nuove tecnologie ad essere percepite come portatrici di opportunità (40,3%). Nell’area amministrativa prevale fra le opzioni degli avvocati il diritto dell’ambiente e dell’energia (36,5%), il diritto sanitario (34,5%), il diritto urbanistico, dell’edilizia e dei beni culturali (21,8%). Il 42,2% degli avvocati considera prioritaria l’offerta di una pluralità di servizi, seppure nell’ambito di realtà organizzative multidisciplinari e specialistiche, senza tralasciare o annullare il rapporto fiduciario.

Il 35,2% sottolinea ancora di più il valore del rapporto di fiducia, mentre il restante 22,7% constata che la specializzazione si pone in alternativa al rapporto di fiducia e che quest’ultimo sia destinato a perdere di rilevanza.

Gli uomini non comprendono il gender gap. 

Si è riscontrato un livello non elevato di consapevolezza del gender gap: il 56,6% degli avvocati afferma che la differenza di reddito fra uomini e donne sia un dato di fatto, ma questa percentuale si ferma al 31,3% nel caso degli avvocati uomini, mentre sale all’81,9% nel caso di donne avvocato.

Fra le cause del divario di reddito: gli impegni familiari e la difficoltà di conciliare famiglia e professione (54,2% in totale, 49,6% donne e 66,3% uomini); la presenza di discriminazioni dal lato della clientela (51,0% donne, 41,1% uomini); la valorizzazione non adeguata del lavoro svolto dalle donne (50,3% le donne, 28,7% gli uomini). (fonte Censis)

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