Sulla fine delle certezze, a colloquio con Luigi Gravagnuolo: “Si può cambiare senza essere trasformisti, né traditori”
“La città, dopo quasi un ventennio di lacerazioni, desidera essere lasciata in pace dalla politica. Ciò per un verso è un bene, per un altro un male, in quanto viene meno la partecipazione. E senza partecipazione è difficile costruire un futuro”
Lunedì prossimo sarà presentato a Cava de’ Tirreni il libro “2010-2015: Cronache di un cambiamento” che ha un autore di eccezione, l’ex sindaco metelliano Luigi Gravagnuolo, giornalista e docente, ma soprattutto uomo di particolare vivacità culturale.
All’ex sindaco metelliano, che con questa sua pubblicazione ha cercato di trovare il bandolo della matassa intricata dei vorticosi cambiamenti epocali di questi ultimi anni, capaci di travolgere e far diventare tremendamente osbsoleti logiche e schemi mentali che ci accompagnano da diversi decenni, chiediamo innanzi tutto perché hai deciso di scrivere questo testo?
Il primo movente è stata la curiosità: chissà – mi sono chiesto – se le riflessioni e le osservazioni che ho sviluppato in questi anni, siano oggi in grado di stimolare un interesse e l’apertura di una discussione senza steccati ideologici. Da questo punto di vista sarei contentissimo se effettivamente il libro fosse in grado di far nascere un dibattito , magari già in occasione delle diverse sue presentazioni. Un secondo movente è stata la convinzione che l’esperienza dell’associazione civica “Città Democratica” di Cava de’ Tirreni meritasse uno sforzo per non lasciarla cadere nell’oblio. Forse un domani, se qualcuno vorrà ripercorrere a Cava un percorso civico, potrà trovare utile leggere gli errori e le cose buone che C.D. ha espresso tra il 2010 ed il 2015.
Tra le tante tematiche che vengono affrontate ce n’è una che ti è particolarmente cara?
Senz’altro quella che lega tutto il libro: la destrutturazione delle categorie culturali, valoriali e politiche che hanno caratterizzato le grandi narrazioni ideologiche del ‘900 – fascismo, liberalismo, popolarismo, socialismo e comunismo – e la lenta ma costante costruzione di nuove categorie del pensiero e della prassi politiche, al cui centro c’è il nodo del rapporto con la globalizzazione.
C’è poi un tema, più personale, che mi è altrettanto caro. Col mondo e con la mia città, in questi anni sono cambiato anche io. Il libro documenta questo cambiamento. Ecco, tra chi cambia per convenienza e chi fa della coerenza un mito, c’è una terza via. Si può cambiare senza essere trasformisti, né traditori. Ho l’ambizione di credere che anche altri, oggi, finite le certezze di un tempo, stiano vivendo un dilemma analogo a quello che ho vissuto io negli anni scorsi: come posso prendere atto che mi trovo in un mondo diverso da quello in cui si sono formate le mie convinzioni, senza tradire i miei valori di fondo? Non so se nel libro si trova la risposta, ma il tema c’è.
Perché leggere “Cronache di un cambiamento?” secondo te?
Perché, al di là del valore intrinseco delle riflessioni e dei limti dell’autore, è un libro innovativo. Mi riferisco al fatto che alcuni degli eventi citati nel testo si possono “vedere”, grazie all’uso dei Qr Code, e all’indicazione, negli indici, di percorsi di lettura tematici. Insomma, la struttura del volume mi pare intrigante di per sé. E poi, trattando gli argomenti nel genere cronachistico, è di agevole lettura, consentendo al lettore di scegliere gli articoli da leggere e quelli da saltare. Né più, né meno di come accade con un quotidiano ogni mattina, quando leggiamo tutti i titoli, ma ci soffermiamo solo sugli articoli che interessano di più.
Cronache di un cambiamento: cos’è cambiato in questa città e cosa occorrerebbe che cambiasse.
A Cava de’ Tirreni, negli anni citati, purtroppo – e lo dico senza alcuna acrimonia – un cambiamento c’è stato, ma in peggio. Un po’ perché la città si è trovata chiusa nella tenaglia della crisi dell’economia dell’Occidente, un po’ per mancanza di progettualità condivise e di coesione nella compagine amministrativa. I cinque anni considerati sono stati anche quelli in cui lo scontro politico locale, già aspro dagli ultimi anni del sindaco Fiorillo, e poi durante i sindacati di Messina e mio, ha raggiunto l’acme. Per evitare di rinfocolare gli animi ho censurato i miei pezzi polemici più veementi, ma quelli sono stati anni di veleni e di contumelie. Oggi avverto che la città, dopo quasi un ventennio di lacerazioni, desideri di essere lasciata in pace dalla politica. Ciò per un verso è un bene, per un altro un male, in quanto viene meno la partecipazione. E senza partecipazione è difficile costruire un futuro.