Completiamo il racconto della nostra visita alla Reggia di Portici, dove la storia ha lasciato campo libero al degrado
Dopo aver approfittato dei “servizi igienici” (sic!) del sottoscala che abbiamo segnalato per la loro sporcizia, ci arrampichiamo sullo scalone.
Dopo la prima rampa dello scalone su un pannello di policarbonato c’è il logo dell’Università Federico II e l’indicazione che in quei locali è ospitata anche la Facoltà di Agraria; ed è perciò che, prima dello scalone, su una improvvisata bacheca intorno ad un antico pilastro dell’androne, numerosissimi cartelli offrono o chiedono appartamenti per studenti.
Le poche sale aperte al pubblico sono totalmente prive di controllo: dopo, i vigilanti mi diranno che non c’è più nessun dipendente né della Reggia né dell’Università ma c’è un controllo remoto con telecamere sulla cui efficienza ho più di un dubbio, poi dirò perché.
Nelle varie sale attraversate sono esposti, in teche chiuse, vari strumenti tecnici, reperti minerali e fossili: sale con splendidi soffitti decorati, alcuni dei quali con segno di infiltrazione d’acqua, ma tutto il complesso risente di questa problema.
A metà, in un corridoio, noto una porta di legno, dipinta bianco e verde, sulla quale una grande insegna indica che c ‘è il reparto di “Chimica Generale – Zoologia ed Entomologia – Stazione di Fitopatologia – Mineralogia – Alboricoltura – Economia Politica – Patologia Vegetale” che, presumo, fanno parte della Facoltà di Agraria; penso anche che la porta sia sbarrata, ma mi ricredo quando, con una semplice spinta, essa si apre e mi conduce, attraverso una scala di 61 gradini, in due ampi saloni pieni di teche a vista, armadi di legno e metallici, alcuni dei quali addirittura aperti; un qualsiasi male-intenzionato avrebbe potuto portare via documentazione cartacea ammucchiata in vari cassetti; dal che ho capito che quel famoso ”efficiente” controllo remoto con telecamere, non è per nulla efficiente giacché, all’uscita, nessuno mi ha chiesto perché avevo acceduto a quelle sale che dovrebbero essere rimaste chiuse al pubblico, specialmente nella giornata festiva aperta gratuitamente a tutti.
Nelle teche di legno e vetro, chiuse per fortuna, vi sono numerosi reperti zoologici e, nelle librerie a parete, tantissimi volumi di botanica e zoologia, tutti bene allineati e catalogati; peccato che anche quei saloni siano interessati da estese infiltrazioni di acqua.
La visita è durata circa due ore e, nonostante la bellezza del complesso, si è conclusa con una pesante delusione ed amarezza nell’aver constatato come, tanta bellezza, tanta storia, tanto passato è lasciato in quelle penose condizioni.
Ho già avuto occasione di occuparmi, sia pure marginalmente, di analoghi siti importanti degradati, come, ad esempio la Reggia di Carditello, al centro della “terra dei fuochi”, distrutta da decenni di incuria, dalla quale sono state asportato persino opere marmoree, mobili e quant’altro.
Questa è, purtroppo, l’attenzione che si dedica a quelle opere di grande valore storico, di grande richiamo culturale, opere grazie alla quali, secondo il Ministro Franceschini, potremmo vivere tutti agiatamente; ma che vengono lasciate marcire, degradarsi, crollare dall’incuria, dal malgoverno della Sovrintendenze, dal menefreghismo del personale delle stesse e del Ministero dei Beni Culturali, dal disinteresse dei custodi e dei vigilanti, oltre che degli stessi responsabili dei singoli siti.
E’ di qualche giorno fa la notizia che dal Palazzo Reale di Napoli è stato “asportato” (=rubato) un impianto di diffusione sonora che certamente non ha fatto il danno di quel buon signore del Direttore della Biblioteca dei Girolamini, ma certamente è il sintomo di un disinteresse che non dovremmo permetterci.
Pensando a tutto ciò mi sono venute in mente le sedi universitarie di Lubiana, o di Varsavia (tanto per citarne alcune che ho visto) e mi sono vergognato!
E sono scappato via da Portici.