Il “mistero” della Tari: diminuiscono i rifiuti, ma la tassa è sempre più salata
Al via l’Osservatorio sulle tasse locali di Confcommercio. Negli ultimi sette anni la tassa sui rifiuti per cittadini e imprese è cresciuta di oltre il 70%. E, tra inefficienze e distorta applicazione delle norme, diminuiscono i servizi erogati dai Comuni.
Per cittadini e imprese la tassa sui rifiuti comporta costi eccessivi e ingiustificati che derivano in particolare, da inefficienza ed eccesso di discrezionalità di molte amministrazioni locali, da una distorta applicazione dei regolamenti e dal continuo ricorso a coefficienti tariffari massimi. E’ quanto emerge dal primo rapporto dell’Osservatorio tasse locali di Confcommercio, strumento permanente al via da oggi su www.osservatoriotasselocali.it, dedicato alla raccolta e all’analisi di dati e informazioni sull’intero territorio relative alla Tari pagata da cittadini e imprese del terziario. Entrando nello specifico della ricerca, si scopre che la tassa sui rifiuti pagata da cittadini e imprese è sempre più alta e in continua crescita: nel 2017 è arrivata, complessivamente, a 9,3 miliardi di euro con un incremento di oltre il 70% negli ultimi sette anni nonostante una significativa riduzione nella produzione dei rifiuti.
In particolare, per le imprese del terziario, si fanno sempre più evidenti distorsioni e divari di costo tra medesime categorie economiche a parità di condizioni e nella stessa provincia: un albergo con ristorante di 1.000 metri quadri paga 4.210 euro l’anno a San Cesario (Lecce) mentre ne paga 7.770 a Lecce; per la stessa attività in provincia di Padova si passa dai 4.189 euro l’anno di Abano Terme ai 5.901 euro l’anno del capoluogo. L’inefficienza delle Amministrazioni locali (in media il 62% dei Comuni capoluogo di provincia registra una spesa superiore rispetto ai propri fabbisogni), poi, costa a cittadini e imprese 1 miliardo l’anno a causa del mancato raggiungimento degli obiettivi comunitari di raccolta differenziata (siamo al 52% contro il 65% fissato a livello europeo). In molti casi, infine, le imprese pagano costi per un servizio mai erogato (con aggravi di oltre l’80%) o per il mancato riconoscimento della stagionalità delle attività.
Nel primo caso, ad esempio a Roma, un distributore di carburante di 300 metri quadri paga 2.667 euro mentre l’importo corretto dovrebbe essere di 446 euro; nel secondo caso, un campeggio di 5.000 metri quadri nel Comune di Fiumicino paga 13.136 euro quando per i soli cinque mesi di attività ne dovrebbe pagare 5.473, oppure uno stabilimento balneare di 600 metri quadri, nello stesso Comune, paga 1.037 euro contro i 432 che dovrebbe pagare. Per Patrizia Di Dio, membro di Giunta di Confcommercio con delega all’ambiente, “i dati dell’Osservatorio sono la conferma di quanto le nostre imprese siano penalizzate da costi dei servizi pubblici che continuano a crescere in modo ingiustificato. Negli ultimi sette anni la sola Tari è cresciuta di quasi 4 miliardi di euro. Bisogna, dunque, applicare con più rigore il criterio dei fabbisogni e dei costi standard nel quadro di un maggiore coordinamento tra i vari livelli di governo, ma soprattutto è sempre più urgente una profonda revisione dell’intero sistema che rispetti il principio europeo «chi inquina paga» e tenga conto delle specificità di determinate attività economiche delle imprese del terziario al fine di prevedere esenzioni o agevolazioni. In due parole, meno costi e meno burocrazia per liberare le imprese dal peso delle inefficienze locali di gestione”. (fonte Confcommercio)