Gaetano Panza: “Il sindaco Servalli è un volto pulito, ma non ha ancora un squadra”
Se è vero che con il passare del tempo e con il mutare dei tempi le certezze vengono a mancare, è invece certo che uno dei pilastri della storia politica cavese continua a essere l’avvocato Gaetano Panza. Insignito della civica benemerenza nel giugno del 2014, l’avvocato Panza è stato parte integrante della vita amministrativa di Cava de’ Tirreni per tutta la seconda metà del secolo scorso e ad oggi è il vegliardo al quale tanti cavesi fanno riferimento e le cui parole, forti di saggezza e lucida capacità di analisi, hanno ancora gran rilievo. Si iscrisse nel Partito socialista nel 1946, eletto per la prima volta Consigliere comunale nel 1952 e da allora è stato rieletto ininterrottamente fino al 1993, quando decise di ritirarsi dalla vita politica attiva. Nel corso dei decenni ha ricoperto la carica di vicesindaco e più volte quella di assessore ai Lavori Pubblici, è stato, inoltre, membro del Comitato provinciale e dell’Esecutivo Provinciale della Federazione del P.S.I. Nel 1980 fu eletto vice segretario provinciale e in seguito fu chiamato dalla Direzione del partito a far parte della Commissione Nazionale del Credito e dell’Economia del P.S.I, per le cariche ricoperte nel consiglio di amministrazione di due prestigiosi istituti di credito. Attualmente è presidente onorario della Sezione del Partito Socialista di Cava de’Tirreni.
Avvocato Panza, Lei ha vissuto da protagonista gli anni della Prima Repubblica, a essere al suo cospetto si ha la piacevole impressione di trovarsi di fronte a un libro di storia dotato di vita propria, ci consenta l’azzardo del paragone. Ha cominciato a interessarsi di politica prestissimo e in anni in cui era atto di grande coraggio andare contro la corrente imperante. perché decise di tesserarsi nel Partito Socialista? Cosa la spinse in questa direzione?
Durante il periodo universitario, trovai tra le carte di mio padre un discorso di Giacomo Matteotti, il deputato socialista ucciso da una banda di fascisti. Lessi l’ultimo suo discorso pronunciato contro Mussolini alla Camera. Dopo la caduta del fascismo, avevo diciotto anni, aderii al Partito d’Azione che all’epoca aveva grande presenza in provincia di Salerno e anche a Cava de’ Tirreni, la sua sede era al primo piano dell’odierno Palazzo Municipale. Nel 1947 questa figura politica si sciolse, una parte di esso confluì nel Partito Repubblicano, un’altra invece nel Partito Socialista. Ed io vi aderii. Non avevo ancora l’età per votare, all’epoca lo si poteva fare a 21 anni. Quando poi il P.S.I. si scisse tra socialisti classici e i riformisti, cioè i socialdemocratici, per alcuni mesi confluii nel partito socialdemocratico per tornare poi tra i socialisti. Nel 1952 per la prima volta fui candidato alla carica di consigliere comunale, avevo 23 anni ed ero il più giovane nonché l’unico borghese e professionista in tutto lo schieramento di sinistra.
Quali sono stati i punti cardine su cui ha basato la sua lunga attività politica?
La mia attività politica è stata condizionata da un evento molto importante: nel 1959 quando contrassi matrimonio ebbi delle difficoltà. Il parroco della mia promessa sposa mi rifiutò il matrimonio concordatario, cioè il matrimonio canonico tra due cattolici, subordinando il suo consenso alla mia rinunzia alla carica di consigliere comunale socialista e cancellazione dal P.S.I. Solo a queste condizioni mi avrebbe concesso di sposarmi secondo il rito religioso. Alla fine mi concesse soltanto il cosiddetto “matrimonio misto”, quello cioè tra una parte cattolica e una non cattolica, e mi mandò a sposare alla chiesetta in località Pietra Santa. Dovetti firmare due impegni: il primo prevedeva che non dovessi ostacolare l’esercizio del culto di mia moglie, il secondo quello di educare i miei figli alla religione cattolica. Impegni che ho mantenuto. Questo ha condizionato anche la mia attività politica, ha confermato e rafforzato il mio impegno politico. I punti cardine della mia azione politica hanno sempre avuto come base la coerenza ideologica di schieramento a sinistra alla difesa della giustizia sociale; ho pagato questa scelta nella società borghese di quegli anni perché pur essendo io un borghese, il ceto sociale che frequentavo mi rinfacciava questo “tradimento di classe”. Oggigiorno questo motivo ideologico non esiste più.
La sua linea politica le procurò l’ostracismo della sua classe sociale, ma fu ripagato di questo dall’ampio consenso popolare di cui ha sempre goduto. Cosa determinò questa sorta di allontanamento dei suoi “pares”?
Non c’è stato mai un allontanamento dalla società borghese in cui vivevo. Da un lato c’era contrasto politico, ma dall’altro vi era stima professionale. Ero l’avvocato di imprenditori e aziende commerciali, pur conservando il consenso della classe media e degli strati popolari che da me si sentivano rappresentati. Lo schieramento di sinistra aveva stima di me per la mia coerenza politica negli anni, coerenza cui tuttora mi attengo.
Nel corso degli anni ha visto trasformarsi Cava de’ Tirreni da cittadina post-bellica, comunque con un tenore di vita elevato rispetto ai comuni limitrofi, a “Piccola Svizzera”, il tutto sotto l’egida di Eugenio Abbro con i quale Lei intrecciò una fattiva collaborazione per la città, pur essendo di schieramenti opposti e quindi essendoci sempre un dibattito dialettico vivace. Quali sono stati, a suo parere, i punti di forza di questo “connubio” determinanti per lo sviluppo della città?
Con Abbro abbiamo iniziato insieme l’attività politica nel 1952. Egli pur essendo un monarchico realizzò a Cava la prima rivoluzione politica: si batté contro la borghesia cavese, sostituì alla classe dirigente dell’epoca una classe nuova che trovava i suoi esponenti nei rappresentanti del mondo contadino. All’epoca c’erano i famosi intermediari di compravendita di bestiame. Questo mondo agricolo divenne il punto di forza del partito monarchico. I rapporti politici e personali con Abbro sono sempre stati alterni. C’erano periodi in cui eravamo alleati, lui sindaco e io vicesindaco, altre volte in cui eravamo in contrapposizione. Quando nel 1960 il P.S.I. era diventato partner della DC nella gestione del potere centrale, io aderii alla formazione del primo governo di centrosinistra a Cava de’ Tirreni. Dopo il terremoto dell’ ’80 iniziò il periodo aureo della coalizione, fino al 1987 quando Abbro fu costretto a rinunziare all’alleanza con i partito Socialista. A Cava all’epoca si parlavo soltanto dell’Amministrazione Abbro-Panza che risolse i problemi di prima emergenza del terremoto e cominciò il periodo luminoso delle grandi costruzioni a Cava de’ Tirreni. Il trincerone ferroviario ha visto i suoi albori nel 1986, il progettista fu l’ingegnere Mario Mellini, che era il capo dell’ufficio tecnico del comune e nel giugno dell’ ’87 fu inaugurato il primo tratto della copertura. Abbro fu obbligato a porre fine all’alleanza col P.S.I. perché gli esponenti del mondo agricolo si resero conto che il loro potere aveva dei limiti in quest’accordo Abbro-Panza.
C’è qualcosa che condanna alla classe dirigente dell’epoca?
Sì, essa ha fatto l’errore di non garantire un prosieguo di generazione. Abbro era un accentratore e non consentiva alcun rapporto con il mondo professionale e culturale che egli aveva contro. A sinistra ci fu un corposo travaso soprattutto della classe medica nel partito Socialista, questo perché per la solita questione della divisione dei poteri la responsabilità della sanità toccò ai socialisti. Avemmo un aumento di consensi perché l’opinione pubblica cominciava a vedere nel P.S.I. non più un partito di opposizione ma un partito di governo. Ma nel 1987 l’idillio tra democristiani e socialisti finì e ciò fu la rovina di Abbro. Nelle successive elezioni egli non riuscì più a riconquistare il potere. Io avevo deciso di abbandonare la vita politica e mi diedi da fare per lanciare a Cava de’ Tirreni un’amministrazione di sinistra; riuscii a far raggiungere un accordo tra comunisti, repubblicani e qualche indipendente per ottenere il quorum e per la prima volta fu eletto a Cava de’ Tirreni come sindaco un uomo di sinistra, Raffaele Fiorillo. Abbro tentò di riconquistare il potere ma non vi riuscì più.
Quali eredità avete lasciato alla classe dirigente politica della Seconda Repubblica?
Il completamento del trincerone in primis, poi la cosiddetta “faccia pulita”. Ci furono le indagini giudiziarie di tangentopoli, ma nessun componente della classe politica cavese fu rinviato a giudizio o condannato. La classe dirigente politica della Prima Repubblica è risultata estranea allo scandalo di tangenti e corruzione. E questo è un bagaglio importantissimo. Terminata l’era Abbro-Panza si è verificato un vuoto. Abbro non ha lasciato eredi, il Partito Socialista fu sottoposto allo tsunami di tangentopoli e ne uscì distrutto. Però noi lasciammo dei grandi esponenti, lo stesso attuale sindaco di Cava era iscritto al P.S. I.
Tangentopoli spazzò via un’intera classe dirigente anche a Cava permettendo un ricambio soprattutto delle sigle politiche al governo della città. Nei fatti questa “rivoluzione” nel modus operandi, e quindi del modo di vivere la politica e amministrare la città, c’è stata?
A Cava non c’è stata una rivoluzione culturale di sinistra, c’è stata invece la distruzione dei partiti della Prima Repubblica. Il P.C.I. si è trasformato in un partito di centrosinistra che, non ho paura di dire, ricorda molto la DC dell’epoca con la differenza che la Democrazia Cristiana aveva la funzione di ostacolare l’affermazione del Partito Comunista nel mondo occidentale, mentre invece adesso esistono pari schieramenti politici che tentano di raccogliere un’eredità. A sinistra il P.C.I. ha rinunziato alla sua funzione di rappresentante della classe operaia ed è diventato un partito di centro con venature a sinistra. In questo momento il PD vede prevalente la presenza degli ex democristiani a cominciare dal Presidente del Consiglio dei Ministri. A Cava accade lo stesso: il PD vede ai vertici la presenza di ex socialisti mentre tra le varie componenti si ravvisa la presenza di ex della Margherita e di esponenti della vecchia DC. C’è un punto positivo, e cioè una forte presenza giovanile che si è liberata dei vecchi rappresentanti comunisti. Essi però non hanno avuto una presenza ideologica, per cui non esistono schieramenti sul piano della divisione ideologica, esistono invece una serie di convergenze elettorali di vari gruppi che si spostano da una parte all’altra nella difesa di una poltrona. Le ultime elezioni hanno visto personaggi di destra diventati di centrosinistra e viceversa. Questo è preoccupante e solo con la ripresa dell’affermazione dei partiti tradizionali, con il ritorno agli schieramenti ideologici, sarà possibile creare una nuova classe dirigente che possa discutere sul piano dialettico con le altre forze politiche per risolvere i problemi della città. Allo stato di cose attuale non vi è alcun rapporto dialettico tra le forze politiche. Marco Galdi vive con disappunto la sua sconfitta, Servalli non riesce a risolvere il problema di una convergenza di forze politiche e culturali e si avvale della collaborazione di giovani i quali non hanno iniziato la loro attività politica come scelta ideologica bensì esclusivamente sul piano di una visione dei problemi della città per risolverli.
Come a livello nazionale, anche a Cava con le ultime elezioni amministrative dello scorso maggio abbiamo celebrato una sorta di funerale al centrodestra cittadino. Lei che è un acuto osservatore come ha visto questo passaggio di governo da destra a sinistra?
Marco Galdi ha completato l’eredità delle precedenti amministrazioni realizzando al 90% l’opera del trincerone ferroviario che ha trasformato la città, non ci sono più i vecchi ponti a unire la parte est e la parte ovest con il centro cittadino. Galdi non è riuscito però a creare una classe dirigente, il susseguirsi di ventiquattro assessori, presenze istituzionali esterne, non lo hanno rafforzato sul piano elettorale. Nessuno pensava che potesse perdere fermandosi solo al 40% dei consensi. Questo significa che è stato abbandonato dalle strutture comunali e non era riuscito ad avere il consenso della classe media della città. Il ceto medio, che era stato alla base del successo del centrodestra a Cava de’ Tirreni, per la prima volta si è spostato prevalentemente a sinistra perché insoddisfatto della direzione politica dell’amministrazione comunale. Questa è la ragione per cui Galdi ha perso.
L’attuale amministrazione sta navigando da quasi un anno in acque relativamente tranquille, forse perché da parte dell’opposizione si sono create poche occasioni di marosi, tuttavia c’è chi comincia a lamentare un passo troppo cadenzato. Qual è il suo parere a tal riguardo?
Tutte le nuove amministrazioni hanno diritto all’attesa di un anno. L’anno sabbatico di Servalli finirà a maggio. In quest’anno egli ha assicurato alla città il volto pulito del sindaco sulla cui onestà personale e politica non possono nutrirsi dubbi. Il giudizio positivo è unanime e questo sarà fondamentale per il prosieguo di quest’amministrazione: un uomo giovane, riservato, a contatto forse anche troppo con le persone, che garantisce il rispetto delle regole del gioco. Servalli ha creato un’amministrazione strana, una giunta comunale con punti impressionanti: ci sono persone che per la prima volta si affacciano alla vita politica, soprattutto il settore femminile, compagni di lotta a cui ha dovuto dare un riconoscimento per questa collaborazione. La giunta dà la sensazione di non essere un organismo di consultazione e di verifica da parte del sindaco, non vedo un interlocutore sul piano dialettico, è Servalli che sulla base della sua esperienza riesce a portare avanti una scelta d’indirizzo. Pur avendo nominato una serie di consiglieri a titolo gratuito dà la sensazione di non essere riuscito a dare alla città una squadra compatta non solo esecutrice, ma anche di contributo alle scelte d’indirizzo politico. Questa è la sensazione ma il giudizio è al momento sospeso fino allo scadere del primo anno di mandato. Ho molto apprezzato la decisione di voler completare la più grande opera incompiuta di Abbro: il famoso palazzetto dello sport. Il manifesto di Rifondazione Comunista sul progetto è assolutamente inopportuno. Ho già espresso il mio pensiero a Servalli a tal proposito. In un momento di contrazione di sostegni finanziari deve contare su pochi punti: le strade, la pulizia della città e soprattutto la sburocratizzazione, deve riuscire a ridurre i tempi per gli adempimenti dei cittadini agli uffici comunali. Il conseguimento di questi tre punti comporterà automaticamente un giudizio positivo. Per quel che riguarda la viabilità non è completo l’impegno dell’amministrazione, la raccolta dei rifiuti procede abbastanza bene, vi è una carenza di gestione delle istituzioni municipali. Tutte le indagini della giustizia, le denunzie, i provvedimenti, gli arresti, i processi hanno impaurito la burocrazia cavese che ora si preoccupa di guardarsi le spalle. Va inoltre fatto un discorso con il mondo imprenditoriale cittadino, che vede la presenza soprattutto di piccole e medie imprese, nella prospettiva di garantire ad esse la riduzione dell’impegno burocratico e un’assicurazione d’impegni per quanto riguarda i servizi. Se poi Servalli riuscisse ad ottenere da De Luca determinati finanziamenti potrebbe aspirare a diventare deputato.
Anche il Consorzio ASI può essere un buon trampolino di lancio per l’imprenditoria cittadina?
Galdi riteneva che bisognasse uscire dall’ASI perché alla burocrazia comunale si aggiungeva quella del Consorzio, ma questo modo di pensare è sbagliato, la presenza dell’ASI dà invece la possibilità di realizzare il sogno di Abbro, che era vicepresidente dell’unità consortile, di far diventare Cava una città industriale, almeno in parte. Ci sono anche altre basi su cui puntare: l’artigianato, il turismo, il commercio.
Lei proviene dalla vecchia scuola politica in cui era molto difficile distinguere quando finiva il personaggio pubblico e quando cominciava l’uomo perché si viveva la politica 24 ore al giorno. Tale percezione del ruolo politico si è un po’ persa attualmente e risulta sempre più difficile, tranne qualche eccezione, vedere nei banchi tanto della maggioranza quanto dell’opposizione, una persona che vive la politica a 360°, costantemente al servizio del cittadino. Spesso la popolazione si lamenta di un servizio “part time”. Come giudica questa tendenza?
Ritengo che la politica sia una professione degna di stima e non deve essere considerata come un rifugio per ricercatori di posti di potere e di danaro. Ho sempre esercitato la mia professione di avvocato, però nel corso degli anni ho notato che la gente mi riconosce soprattutto come politico, dando un giudizio positivo alla mia invariabilità ideologica. Ho invece la sensazione che la classe dirigente politica contenga anche la presenza di persone che vedono nell’impegno politico un modo per conseguire un vantaggio economico, questo può giustificare il passaggio da una parte all’altra della barricata, il cosiddetto trasformismo politico. Come si risolve questo problema? Dobbiamo andare sempre a monte; la classe dirigente deve passare attraverso una prima selezione fatta dal partito, il quale garantisce la scelta ideologica e in ragione di tale scelta risolvere i problemi della città. Le regole valgono sia per un uomo di sinistra, che di destra. Adesso io ho invece la sensazione che tutto venga trasferito al sindaco e per esso anche ai dirigenti dei vari settori. Non dimentichiamo, infatti, che il loro potere è enorme. Ai miei tempi sindaco e assessori avevano la responsabilità anche esecutiva, adesso invece agli organi istituzionali resta soltanto la scelta della gestione, ma l’esecuzione appartiene ai vari dirigenti di settore. Attualmente la struttura comunale si avvale ancora di qualche vecchio dirigente. Non si è concretizzata ancora una valutazione positiva da parte dell’opinione pubblica della struttura comunale. Servalli si deve porre il problema della riorganizzazione della macchina burocratica. Durante la Prima Repubblica le figure istituzionali (assessori, consiglieri comunali e di circoscrizione etc.) erano obbligate a una presenza costante sul territorio perché il partito li chiamava alla verifica del proprio operato. Il consigliere comunale non doveva solo andare al Consiglio comunale o partecipare a qualche riunione. Si ha la sensazione che adesso, invece, tranne il sindaco e qualche assessore costantemente attivo, gli altri non sono impegnati. Ci sono degli assessori che non hanno ritenuto di doversi mettere in aspettativa e vanno al Comune solo qualche pomeriggio alla settimana per qualche ora. L’opinione pubblica su questo censura Servalli. E’ troppo presto però perché il sindaco possa fare qualche modifica in giunta, salterebbero gli equilibri. Ogni consigliere o assessore che ritiene di non poter rinunziare alla propria presenza professionale o familiare dovrebbe rassegnare le dimissioni. E’ un problema che Servalli deve porsi. L’opinione pubblica è unanime nell’accordare i suoi favori al sindaco, meno alla giunta.
Si riferisce a tutta la giunta comunale o a qualche membro in particolare?
Ovviamente solo qualche componente. Si verifica semmai anche che qualche consigliere comunale travalichi il suo potere in virtù delle numerose cariche attribuitegli e tenta di essere l’ago della bilancia. Non può esserlo per il suo passato politico e in politica si è sempre schiavi del proprio passato, soprattutto quando la transizione non avviene per convergenza ideologica ma solamente per interesse elettorale.
Con schiettezza e senza remore: ritiene che attualmente all’interno della classe politica cittadina ci siano persone dotate di quel quid pluris necessario per emergere nel mare magnum dell’arte del governo? Insomma, può farci qualche nome di chi ritiene un suo degno successore?
Il mio è un discorso di carattere generale, non si possono fare dei nomi. Esistono persone con capacità, però vogliono essere messe al riparo da possibili conseguenze penali. Paghiamo lo scotto di quello che è avvenuto negli ultimi anni. Durante le ultime elezioni tutti hanno avuto difficoltà nella ricerca di persone che si volessero candidare. Ai tempi della Prima Repubblica i partiti gestivano anche le preferenze. Adesso si ragiona a prescindere dalla scelta ideologica e abbiamo visto anche candidature degli ultimi cinque minuti. Un candidato che voglia fare politica alle prossime elezioni dovrà organizzare un suo comitato elettorale almeno un anno prima. A questo scopo si creano le varie associazioni, i comitati, le feste patronali che di fatto si sostituiscono al partito e diventano trampolino di lancio nella vita politica.
Come vede il futuro di Cava de’ Tirreni Gaetano Panza?
Io sono vissuto nel periodo del cosiddetto “ottimismo della volontà”, un’espressione gramsciana e craxiana. Ho grande fiducia nelle nuove generazioni, sono bravi ma diffidenti. Cava de’ Tirreni ha dato i natali a tanti giovani che sono andativi via per fare la loro fortuna professionale. La città deve fare una scelta altrimenti diventerà un mero dormitorio. Cava deve essere un punto imprenditoriale di qualità a livello di piccole aziende che abbiano un’attività di specializzazione, e soprattutto deve puntare sul turismo. Salerno è stata capace di diventare città turistica da città morta che era. Attendiamo maggio per vedere cosa accadrà.
Una lucida analisi della storia politica della nostra Città ed una riflessione importante sull’attuale gestione amministrativa. Del resto era scontato da parte dell’Avv. Panza che ancora una volta con il suo acume e con la sua visione oggettiva ha dimostrato che la vera politica non è improvvisazione ma analisi e proposta. Ci vorrebbero ancora queste intelligenze per far nuovamente decollare il livello della nostra classe politica.
Pierfederico De Filippis