scritto da Carolina Milite - 23 Gennaio 2016 11:24

Gabriel Zuchtriegel: “Vivere nel quotidiano l’arte quale espressione della nostra vita”

Il  direttore del Parco Archeologico di Paestum: “Dobbiamo ripensare la maniera in cui comunichiamo il passato al pubblico. Non dobbiamo parlare archeologese, non essere troppo tecnici per l’ansia di risultare approssimativi”.

 

Gabriel Zuchtriegel, trentaquattro anni, tedesco di Weingarten, nel Baden-Wurttemberg, Germania del sud, archeologo dagli occhi azzurri e dal sorriso dolce che contrastano con la durezza fonetica dell’alfabeto teutonico. Da novembre è il nuovo direttore del Parco Archeologico di Paestum, uno dei siti archeologici di maggior prestigio, riconosciuto dall’Unesco come Patrimonio dell’Umanità, insieme al Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano. Il Museo che conserva una delle più importanti collezioni archeologiche d’Italia, basti pensare alla “tomba del Tuffatore “del V sec. A.C., è rientrato nel gotha del “magnifici venti”  musei più importanti d’Italia. Secondo le norme della riforma del Ministro Dario Franceschini avviata nell’ottica della riorganizzazione e valorizzazione dei musei nazionali, sono stati selezionati con un bando internazionale alla guida di queste eccellenze culturali venti nuovi direttori, di cui sette stranieri e tra essi figura, il più giovane tra tutti, anche Gabriel Zuchtriegel. Nonostante la giovane età, vanta un curriculum di tutto rispetto: si è laureato in Archeologia classica, preistoria e filologia greca alla Humboldt-University di Berlino e ha poi conseguito con lode il Dottorato di ricerca in Archeologia classica presso l’Università di Bonn, professore di archeologia e storia dell’arte greca e romana all’Università della Basilicata, autore di numerose pubblicazioni, ha condotto numerosi scavi archeologici in Italia e all’estero e ha lavorato come archeologo nella segreteria tecnica del Grande progetto di Pompei. Lo incontriamo nel suo nuovo ufficio al primo piano del Museo Archeologico di Paestum, ci accoglie sorridendo e scusandosi dell’attesa che abbiamo dovuto fare in anticamera, pochi minuti, dovuta a una riunione interna per il rientro della “Tomba del Guerriero”, di recente recuperata dai Carabinieri dopo essere stata trafugata negli anni ‘90 (la lavagna con il planning e le progettualità, che troneggia nella stanza, ne è la conferma).

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Al direttore Zuchtriegel chiediamo, innanzi tutto, quando ha deciso che sarebbe diventato archeologo o è stato un percorso naturale a spingerla in quella direzione?

Fin da piccolo avevo la passione per la storia e per il poter materialmente toccare le cose che vedevo: i castelli, le case antiche, gli oggetti che esse contenevano. Ero indeciso giacché mio padre è musicista, un’altra arte “senza pane”, e avrebbe apprezzato se avessi seguito il suo percorso. Ho studiato pianoforte e altri strumenti, però poi ho deciso di seguire la mia grande passione per l’archeologia.

Quando è venuto per la prima volta in Italia qual è stata la differenza che ha notato nell’approccio all’arte tra tedeschi e italiani?

Non amo generalizzare quindi non mi sento di dare un’affermazione assoluta. Quello che non può fare a meno di notare uno straniero quando viene in Italia è il rapporto molto stretto degli Italiani con la cultura classica, romana e greca ed anche etrusca; il fatto di vivere tra questi monumenti  e sentirsi parte di essi è percepibile nella vostra indole.

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Non avverte una sorta di assuefazione al bello da parte di noi italiani che fa sì che non venga dato il giusto merito, la giusta considerazione a quanto ci circonda? Spesso noi abbiamo l’impressione contraria, e cioè che gli stranieri apprezzino più di noi la nostra arte.

Non credo che sia così. Molti visitatori al museo sono Italiani, provengono da tutte le parti della nazione e sono molto presenti le scolaresche. Avverto un forte interesse e penso che non si debbano vedere in chiave negativa  le cose, del resto ce lo dicono i numeri delle presenze.

Lei ha già accumulato un bagaglio cospicuo di esperienze nella sua carriera lavorativa: docente, collaborazioni museali, scavi archeologici, autore di pubblicazioni. Cosa le ha lasciato ognuna di queste esperienze?

E’ difficile riassumere il tutto. Sicuramente ho imparato -soprattutto in Italia dove ho fatto delle esperienze fondamentali sia a livello professionale che umano- quanto sia importante il lavoro di squadra ed avere un rapporto con il territorio, cercare di comunicare quanto si fa  a un pubblico più vasto; per esempio, durante le ricerche che sono state effettuate a Policoro, l’antica Heraclea in Basilicata, abbiamo notato che c’era un grande interesse da parte degli abitanti per il lavoro che svolgevamo, e questo a un archeologo fa molto piacere.

Ha dichiarato “non mi sento straniero”, ma giovane si sente per ricoprire questo incarico?

Trovo molto confortante che a Paestum, ma più in generale all’interno del Ministero per i Beni e le Attività culturali, c’è un gran lavoro di gruppo, siamo una squadra variegata per età ed esperienza, e questi aspetti messi insieme permettono di lavorare bene.

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In alcune interviste rilasciate lei ha parlato di un immenso patrimonio custodito nei depositi, 450 tombe, e altro materiale sparso dentro e fuori i confini dell’area archeologica ancora da scavare. La gran parte di Paestum è ancora da scoprire?

Certamente. Basti guardare fuori dalla finestra dove siamo adesso: ci sono le mura, all’interno di esse c’è l’abitato antico e tutto è ancora coperto e fuori delle mura ci sono le necropoli che sono state scavate solo in parte. C’è ancora molto da scoprire. Noi come museo siamo stati  indicati dalla riforma ministeriale anche come “Istituzione di ricerca” e questo ci permetterà di sviluppare un progetto di scavi per approfondire la conoscenza del sito e degli abitati che ancora si conoscono poco; i templi, l’agorà e lo spazio pubblico sono ben noti mentre per gli abitati c’è ancora molto da scoprire.

C’è una città intera che attende di essere scoperta?

Sì, e le condizioni di conservazione sono ottime. E’ uno dei circuiti culturali meglio preservati in Italia. Abbiamo un paesaggio relativamente intatto se confrontato con altre realtà dove non c’è più la possibilità di fare una ricerca sistematica, come ad esempio Napoli o altre grandi città che nei secoli si sono accresciute. Qui c’è un campione modello per studiare la colonizzazione greca, l’urbanistica, la vita quotidiana, il commercio, l’artigianato, i culti.

Occorrono ingenti sovvenzionamenti per fare ciò?

L’Università “Federico II” di Napoli ha già portato avanti in passato dei progetti di ricerca importanti, così come l’Università di Salerno. Un’èquipe francese diretta dalla professoressa Agnes Rouveret ha collaborato con Paestum, l’Istituto Archeologico Germanico ha compiuto delle ricerche sull’architettura sempre qui, e questa e solo una parte dell’attenzione che c’è da sempre per Paestum. Per tale motivo vogliamo continuare e possibilmente allargare gli studi.

Nel frattempo, può darci i numeri e parlarci in maniera approfondita dell’area: nel sito oltre ai famosi templi di Hera, Poseidone e Athena quali altri reperti sono presenti? In quali condizioni sono?

E’ nostra intenzione dare maggiore valorizzazione al percorso delle mura, averle in questo stato di conservazione è un dato eccezionale. Vogliamo inoltre rendere visitabili le torri e approntare una serie di mostre all’interno di esse. In tal modo è possibile incrementare e diversificare l’offerta per i visitatori. Arrivando dalla stazione, che è a due passi dagli scavi, si potrà fare un giro lungo le mura e attraverso le porte della città, in particolare Porta Marina che è in ottimo stato di conservazione o Porta Sirena anch’essa in buono stato. Già quello che è stato portato alla luce offre tante possibilità di ampliare l’offerta.

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Lei ha fatto parte della segreteria tecnica di un sito conosciuto nel mondo come Pompei. Accetta una provocazione: perché gli italiani e gli stranieri dovrebbero scegliere di visitare Paestum?

Ritengo che non si debba fare alcuna scelta, l’alternativa non è o Paestum o Pompei bensì l’uno e l’altro. Chi viene a Pompei, e sono circa tre milioni di visitatori l’anno, potenzialmente potrebbe essere interessato a venire anche a Paestum. Più che di concorrenza si dovrebbe parlare di una potenzialità che dobbiamo cercare di sfruttare meglio perché tutti quelli che vanno a Pompei mostrano interesse per l’archeologia e la cultura antica. Quindi potrebbero voler visitare anche Paestum attraverso un percorso a ritroso verso le origini.

A dicembre scorso il ritrovamento da parte dei carabinieri per la tutela del patrimonio artistico della “Tomba del Guerriero”, risalente a 2300 anni fa, trafugata negli anni  ‘90. un altro pezzo importante che torna a far parte della Paestum da valorizzare?

Se prima vi ho fatto scortesemente aspettare, e me ne dispiace, è proprio perché stavamo facendo una riunione per un progetto riguardante la Tomba del Guerriero. E’ nostra intenzione esporre le lastre, ma prima dobbiamo studiarle attentamente perché non è detto che non siano state ritoccate o manipolate in vari modi per venderle a un prezzo migliore. Una volta che lo avremo accertato allestiremo una mostra riguardante le lastre del Guerriero per offrire al pubblico l’occasione non solo di ammirare il ritrovamento, ma anche di riflettere sul fenomeno dei trafugamenti  di opere antiche che di fatto le sottrae alla collettività.

Il ministro Franceschini, proprio in occasione di questo importante ritrovamento, ha definito questa come “l’area archeologica tra le più importanti d’Italia, su cui nei prossimi anni faremo importanti investimenti. Paestum, per la sua straordinaria bellezza, merita il giusto riconoscimento nazionale ed internazionale e risorse che negli anni passati non ha avuto”. Una prospettiva positiva per questo sito, dunque?

Molto positiva. Non era affatto scontato che Paestum  rientrasse  tra i venti musei autonomi della riforma. E’ un privilegio per tutta la Campania che ci siano quattro realtà, quattro musei autonomi, oltre Paestum il Museo Archeologico di Napoli, il Museo di Capodimonte e la Reggia di Caserta. Paestum dal punto di vista della qualità, dell’importanza dei monumenti e della collezione merita un posto di primo rango a livello internazionale, questo è fuori dubbio. Quello che dobbiamo fare nei prossimi anni è cercare di arrivare anche con la qualità della gestione, dell’offerta, dei servizi e della comunicazione al livello che merita il sito. Per quel che riguarda la collezione, i monumenti e l’importanza storica e artistica siamo al top, dobbiamo arrivare allo stesso livello con la qualità di servizi e offerta. Questa sarà per Paestum la svolta definitiva.

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Non dipende solo da lei e dal suo operato questo.

E’ vero. Per questo noi cerchiamo di instaurare un dialogo e una stretta collaborazione con tutto il territorio. I visitatori non vengono solo per l’archeologia o solo per il mare e la mozzarella. E’ il giusto mix tra tutti i fattori a fare la qualità.

Occorre migliorare le infrastrutture e i collegamenti. La stazione va potenziata.

Per la stazione siamo già in contatto con Trenitalia e c’è una collaborazione proficua in corso. Siamo fortunati perché un sito di questo valore anche paesaggistico che ha la stazione ferroviaria proprio davanti alla Porta Antica è una cosa molto rara.

Paestum oltre a essere area archeologica di respiro mondiale è anche la porta del Cilento. Secondo lei è possibile creare sinergia, con relativi ritorni economici e turistici con i paesi limitrofi? Turismo è cultura?

Il nostro obiettivo è un turismo sostenibile e non solo di massa che non porta nulla al territorio. Vogliamo un turismo di qualità e sostenibilità che non vuol dire soltanto prezzi alti, ma una qualità diffusa sul territorio. Noi faremo la nostra parte, ma contiamo sul fatto che tutti i partner locali, soprattutto i privati, facciano la loro parte. Gli albergatori, i bed & breakfast, i ristoranti, i negozi, tutte le strutture insomma, se ciascuno di essi farà la sua parte, anche se piccolissima, tutti insieme potremo fare grandi cose. C’è bisogno di un’attività condivisa che parte dai singoli individui e mirante allo stesso obiettivo.

Come fare arrivare questo messaggio in maniera diffusa a tutte le comparse?

Bisogna cominciare da se stessi e chiedersi: “Come Parco Archeologico, o come piccolo bed & breakfast. cosa posso fare per rendere il mio territorio più attraente e con una qualità migliorata?”.

La sua scommessa, lanciata attraverso un video diffuso da molti media, dopo pochi giorni dal suo insediamento: rendere fruibile almeno un tempio dall’interno e non solo ammirarli dall’esterno. Pensa di riuscirci?

Abbiamo già avviato il progetto e stiamo studiando con l’architetto gli aspetti riguardanti la sicurezza e la conservazione; sono convinto che questo sarà un progetto cruciale perché vi assicuro che è un’esperienza davvero unica e fantastica entrare in un tempio antico, e qui a Paestum è possibile come in nessun altro luogo del mondo. Vedere dall’interno del tempio di Nettuno la Basilica è tutt’altra cosa rispetto al farlo solo dall’esterno. E ritengo che sia nostro dovere rendere possibile questa esperienza ai visitatori.

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Tra le sue prime indicazioni programmatiche l’apertura dell’area ai giovani e persino ai bambini ed alle famiglie. Ci vuole spiegare meglio?

Sono molte le famiglie che vengono nell’area del Parco soprattutto durante il periodo estivo. Un’altra fascia di utenza di estrema rilevanza sono le scolaresche. I bambini e i ragazzi rappresentano una parte molto cospicua dei visitatori, quasi la metà, per forza di cose dobbiamo concepire i percorsi pensando a questa fascia e non solo agli adulti.

Quali eventi e progetti sono in programmazione nel breve e nel lungo periodo?  E quali le relative iniziative che intende porre in essere?

Ho già accennato al progetto di una mostra relativa alla Tomba del Guerriero. Stiamo pensando a eventi che terranno in primavera ed estate, fino all’autunno nell’area archeologica, ma anche nel museo. Vogliamo proporre la seconda edizione del “Vino del Tuffatore”, un incontro tra archeologia, enologia e medicina, con relazioni e tavole rotonde, visto il successo della prima edizione lo scorso novembre con produttori provenienti da tutte le regioni d’Italia. I commenti dei visitatori sulla pagina Facebook del Parco Archeologico sono stati entusiasti. Stiamo anche creando un’associazione per quanti vogliono dare il loro sostegno al Parco, che sarà corredata di eventi sia del territorio che internazionali.

Un futuro senza cognizione del passato è di poca consistenza. L’archeologia è un libro aperto sul passato. Come si può far recepire questo messaggio alle giovani generazioni?

Dobbiamo ripensare la maniera in cui comunichiamo il passato al pubblico. Non dobbiamo parlare archeologese, non essere troppo tecnici per l’ansia di risultare approssimativi. Dobbiamo essere coraggiosi e affrontare anche temi cruciali del presente che spesso hanno un collegamento con l’antico. Dobbiamo far emergere il nostro legame con il mondo antico, per questo è fondamentale non presentare l’antico come qualcosa a se stante che non ci riguarda, ma evidenziare come la nostra tradizione che va dall’antichità, attraverso il Medioevo, il Rinascimento fino alla modernità, condiziona ancora oggi il nostro modo di pensare, di vivere, di lavorare. La riscoperta di Paestum ci fa comprendere come la città fosse un luogo cruciale non solo per il territorio circostante, ma per tutta la nascita di una disciplina, la storia dell’arte, che studia la concezione dell’arcaico, delle origini dell’arte, del primitivismo; se riuscissimo a raccontare anche questa parte della storia di Paestum potrebbe essere molto accattivante per tutti.

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Lei sta dicendo, insomma, che dovremmo far rivivere l’arte nella nostra quotidianità.

Sì, e non prenderne le distanze mettendola in una vetrina che ci separa da essa, ma piuttosto cercare di cogliere i fili che ci collegano al passato e che ci condizionano ancora oggi, non sempre in maniera positiva. Non bisogna fare un’ammirazione acritica dell’antico, ma un confronto critico perché solo così può suscitare interesse. Bisogna andare oltre la bellezza, non dobbiamo trattare l’antico come un fenomeno legato alla bellezza. Non voglio negare il fascino estetico, però parliamo di anche di temi come la nascita della moneta, la migrazione, la violenza, conflitti religiosi e culturali, la schiavitù. Tutti temi che vanno oltre la semplice affermazione che “il tempio è bello”. Il tempio è bello, ma dietro il tempio c’è tutta una storia: chi lo ha costruito, il contadino che produceva ciò di cui si nutrivano le persone coinvolte nella costruzione del tempio, un architetto, una élite di cittadini che ha commissionato l’opera etc. Bisogna far emergere anche questi temi.

Per quanto riguarda la tutela e la valorizzazione del nostro patrimonio artistico e culturale, voltare pagina, come ha detto il ministro Franceschini, si può?

Si può e si deve. Le potenzialità sono enormi. Il sistema vigente fino ad ora non permetteva di svilupparle pienamente. La riforma offre un’occasione importante e unica per migliorare, abbiamo le forze e le potenzialità per farlo.  Penso anche al Museo Archeologico di Napoli che è uno dei musei più importanti dell’archeologia a livello mondiale, era il museo della capitale del Regno delle Due Sicilie, o il museo di Reggio Calabria con i Bronzi di Riace e una storia molto interessante su di una grande città della Magna Grecia, o ancora il museo di Taranto che era l’unica colonia spartana in occidente, ricca di un patrimonio storico e artistico unico. Sono solo alcuni esempi di siti che hanno una potenzialità immensa e che bisogna valorizzare.

Un ultima battuta. Chiediamo all’archeologo Gabriel e non al direttore Zuchtrieger: il suo cuore dove si è fermato?

Il mio cuore viaggia sempre con me, però è vero che sono rimasto sempre affezionato ai siti che ho studiato, per esempio Gabi vicino Roma, Selinunte, Heraclea. Devo dire tuttavia che è facile portare il cuore a Paestum, è di un tale fascino! Quando vedi i Templi al tramonto e il sole che cala tra essi il cuore si sofferma.

Diplomata al liceo classico, ha poi continuato gli studi scegliendo la facoltà di Scienze Politiche. Giornalista pubblicista, affascinata da sempre dal mondo della comunicazione, collabora con la rivista Ulisse online sin dalla sua nascita nel 2014, occupandosi principalmente di cronaca politica e cultura. Ideatrice, curatrice e presentatrice di un web magazine per l'emittente web Radio Polo, ha collaborato anche col blog dell'emittente radiofonica. Collabora assiduamente anche con altre testate giornalistiche online. Nel suo carnet di esperienze: addetto stampa per eventi e festival, presentazione di workshop, presentazioni di libri e di serate a tema culturale, moderatrice in incontri politico-culturali.

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