Stop pesticidi: presentato ieri a Roma il rapporto di Legambiente sulla contaminazione da pesticidi nei prodotti ortofrutticoli e trasformati, che elabora i dati dei laboratori pubblici italiani
Il tè verde fa bene alla salute. A meno che non risulti contaminato da un mix di ben 21 differenti sostanze chimiche. Anche le bacche vanno molto di moda nelle diete attuali, peccato che alcuni campioni analizzati dall’attento laboratorio della Lombardia contenessero fino a 20 molecole chimiche differenti.
Residui chimici in quantità sono stati rinvenuti anche nell’uva da tavola e da vino, tutta di provenienza nazionale, contaminata anche da 7, 8 o 9 sostanze contemporaneamente. Sebbene i prodotti fuorilegge (cioè con almeno un residuo chimico che supera i limiti di legge) siano solo una piccola percentuale (l’1,2% nel 2015, era lo 0,7% nel 2014), tra verdura, frutta e prodotti trasformati, la contaminazione da uno o più residui di pesticidi riguarda un terzo dei prodotti analizzati (36,4%).
Stop pesticidi, il dossier di Legambiente che raccoglie ed elabora i risultati delle analisi sulla contaminazione da fitofarmaci nei prodotti ortofrutticoli e trasformati, realizzati dalle Agenzie per la Protezione Ambientale, Istituti Zooprofilattici Sperimentali e ASL, è stato presentato ieri a Roma.
Nonostante la crescente diffusione di tecniche agronomiche sostenibili, l’uso dei prodotti chimici per l’agricoltura in Italia rimane significativo. Sebbene la situazione tra il 2010 e il 2013 sia migliorata con un trend di diminuzione dell’uso pari al 10%, nel 2014 si è registrata una inversione di tendenza e il consumo di prodotti chimici nelle campagne è tornato a crescere, passando da 118 a circa 130 mila tonnellate rispetto all’anno precedente.
In particolare, nel 2014, sono stati distribuiti circa 65 mila tonnellate (T) di fungicidi (10,3 mila T in più rispetto al 2013), 22,3 mila T di insetticidi e acaricidi, 24,2 mila T di erbicidi e infine 18,2 mila T di altri prodotti. Nel complesso, l’Italia si piazza al terzo posto in Europa nella vendita di pesticidi (con il 16,2%), dopo Spagna (19,9%) e Francia (19%), piazzandosi però al secondo posto per l’impiego di fungicidi.
In positivo, però, va segnalata la crescita delle aziende agricole che scelgono di non far ricorso ai pesticidi e di produrre secondo i criteri biologici e biodinamici, seguendo forme di agricoltura legate alle vocazioni dei territori, operando per salvaguardare le risorse naturali e la biodiversità grazie alla ricerca e all’innovazione.
La superficie agricola biologica in Italia, infatti, tra il 2014 e il 2015 ha registrato un aumento del 7,5%.
Anche quest’anno, la quantità dei residui di pesticidi che le Agenzie per la Protezione Ambientale e Istituti Zooprofilattici Sperimentali hanno rintracciato nei prodotti da agricoltura convenzionale, nei prodotti trasformati e miele, resta elevata: salgono leggermente i campioni irregolari (1,2% nel 2015, erano lo 0,7% del 2014); mentre i prodotti contaminati da uno o più residui contemporaneamente raggiungono il 36,4% del totale, più di un terzo dei campioni analizzati (9608 campioni), in leggero calo rispetto al 2014 (41,2%).
La percentuale di campioni regolari senza alcun residuo invece, in leggero rialzo rispetto al 58% del 2014, si attesta al 62,4%.
Tra i casi eclatanti, i già citati prodotti di provenienza extra Ue come il tè verde con 21 residui chimici e le bacche con 20, ma anche il cumino con 14 diverse sostanze, le ciliegie con 13, le lattughe e i pomodori con 11 o l’uva con 9 principi attivi.
Ancora una volta la frutta è il comparto dove si registrano le percentuali più elevate di multiresiduo e le principali irregolarità. Ma il massiccio impiego di pesticidi non ha ricadute significative solo sulla salute delle persone. Una maggiore attenzione deve essere rivolta anche alle ricadute negative sull’ambiente.
I dati di Stop pesticidi sono il frutto delle analisi condotte dai diversi laboratori pubblici italiani. Come sempre, vale il principio del ‘chi cerca trova’ e così le maggiori irregolarità sono state riscontrate dai laboratori più zelanti, che conducono il maggior numero dei controlli (Lombardia e l’ottima Emilia Romagna) contemplando il più alto numero delle sostanze da ricercare. Mancano invece all’appello i dati della Calabria, che non ha fornito alcuna informazione, e della regione Toscana, che ha fornito i dati in maniera disaggregata, non assimilabile al resto del rapporto.
Nel complesso, uva, fragole, pere e frutta esotica (soprattutto banane) sono i prodotti più spesso contaminati dalla presenza di residui di pesticidi.
Circa un terzo dei campioni (30,1%) analizzati dal laboratorio del Lazio, contiene uno o più residui di sostanze attive. Si arriva a combinazioni di 21 residui in un campione di foglie di tè verde, di cui 6 superano il limite di legge (Buprofezin, Imidacloprid, Iprodione, Piridaben, Triazofos, Acetamiprid) e 14 residui in un campione di semi di cumino, di cui 9 superano il limite (Carbendazim,Esaconazolo, Imidacloprid, Miclobutanil, Profenofos, Propiconazolo, Tiametoxam, Triazofos, Acetamiprid).
Come già accennato, l’uva risulta tra i prodotti maggiormente contaminati.
In Emilia Romagna risultano contaminate il 46,1% delle insalate e l’81,6% delle fragole (multiresiduo), mentre spiccano per numero di molecole presenti contemporaneamente un campione di ciliegie e uno di uva sultanina ‘in regola’ con 13 e 14 principi attivi. 15 le irregolarità rilevate: 8 su pere locali e 7 nel comparto verdura.
Cocktail di sostanze attive si trovano anche in Lombardia con due campioni di bacche provenienti dalla Cina con 12 e 20 residui. Anche la regione Sicilia presenta 6 campioni irregolari, uno nel comparto verdura (cereali) e cinque nel comparto frutta. La regione Puglia ha rilevato 20 irregolarità tra cui 6 su campioni di melograno provenienti dalla Turchia.
Dossier completo: https://www.legambiente.it/contenuti/dossier/stop-pesticidi-2017