Archiviato il caso di Anna Esposito, ma resta il mistero sulla sua morte
Una penna, un suicidio atipico e un turbine di sospetti, voci e congetture sulla scomparsa di una donna e, infine, un’archiviazione di un caso tutt’altro che chiarito. Sembrerebbe l’incipit di un giallo, ma è triste realtà. La storia è nota ai cittadini metelliani e non solo, ed è il racconto di Anna Esposito, il commissario della Digos originario di Cava de’ Tirreni, ritrovato nell’appartamento di servizio della caserma Zaccagnino di Potenza il 12 marzo del 2001.
La donna fu ritrovata impiccata con il cinturone della sua divisa alla maniglia della porta del bagno, piedi ancora che toccavano il terreno, una penna vicino a sé ma nessun messaggio per i postumi. «In assenza di lesioni traumatiche e sostanze alcoliche e tossiche nel sangue», i due medici incaricati dal pm Claudia De Luca avevano giudicato la morte del commissario «compatibile» con un suicidio, motivo per cui il caso era finito in archivio nel giro di una decina di mesi. Conclusione decisamente affrettata visti alcuni dettagli non trascurabili che non rendevano tanto certa l’ipotesi del suicidio volontario: un’impiccagione atipica e incompleta, così veniva descritta la scena.
La fibbia – infatti – non sarebbe stata stretta sulla nuca, ma appena sotto l’orecchio destro. In più i colleghi della donna, quando raggiunsero il suo appartamento non vedendola arrivare in questura, non avrebbero trovato il corpo sospeso a mezz’aria, bensì «seduto sul pavimento», data l’esigua altezza della maniglia a cui era “appeso”. Una scena del delitto apparentemente “inquinata”, con i biglietti del treno ancora sul tavolo della casa, le rubriche dei due telefoni cellulari, le pagine dell’agenda di Anna strappate e mai ritrovate; «l’abitazione era stata già rovistata da una serie di persone presenti che aveva proceduto anche a raccogliere alcuni elementi di prova – scrisse il pm De Luca – Così come era già stato rovistato, a parere di chi scrive, l’ufficio della dottoressa Esposito in Questura».
Inoltre l’inquietante presenza di minacce, di biglietti, di cui Anna raccontava alla famiglia, oltre che ad una turbolenta relazione con l’ex-compagno con cui aveva ancora contatti. Sembrava un caso destinato all’archivio, quando il padre di Anna Esposito chiese la riapertura depositando negli uffici della procura di Potenza una consulenza che aveva commissionato lui stesso per cui sarebbe stato impossibile, tecnicamente, che la figlia si fosse uccisa in quel modo.
Il fascicolo, riaperto dal pm Sergio Marotta, risultava iscritto per omicidio volontario a carico di persone da identificare; unico sospettato il compagno, o meglio ex-compagno, della dirigente Digos metelliana, ovvero il giornalista Luigi di Lauro (che si è sempre dichiarato totalmente innocente ed estraneo ai fatti). In seguito alla richiesta di archiviazione c’è stata la formale opposizione da parte della costituita parte civile rappresentata dall’avvocato Angela Cisale. Alla base dell’istanza c’è un contrasto tra le due consulenze tecniche: il perito Introna della procura di Potenza parla di suicidio, mentre il ctu del tribunale fa riferimento a fratture evidenziate dall’esame autoptico che sarebbero collegabili ad una violenta colluttazione prima del decesso, con quattro costole fratturate, e tra le ipotesi, l’istigazione al suicidio. Nell’ottobre del 2015 si sperava nel colpo di scena; i familiari della donna hanno più volte sostenuto che l’ipotesi del suicidio non pareva la pista più probabile che inquirenti hanno subito seguito e il legale di famiglia si era opposto alla richiesta di archiviazione del caso, chiedendo chiarezza nella dinamica di quella tragica domenica sera. Ma allo scoccare del 2016 arriva l’archiviazione nonostante tutto, nonostante le richieste, l’udienza, il suicidio atipico.
«Vergogna: nessuno dei familiari è stato avvertito. Abbiamo saputo dell’archiviazione dai giornali. Hanno ucciso Anna per la seconda volta» dicono i familiari di Anna in un intervista rilasciata a “Il Mattino” il 21 gennaio, si dicono pronti a tener duro e continuare a lottare per ottenere giustizia: il ricorso alla Corte Europea l’ultima speranza, intanto c’è la richiesta per la revoca dell’archiviazione e un legale dalla parte dei familiari che sta cercando di ottenere 16 anni di prove, documenti e incartamenti su un giallo, ormai noto, della cronaca nera. In attesa della fissazione dell’udienza proprio la zia Enza ha fatto stampare delle magliette e dei cartelloni con il volto di Anna e la frase «Giustizia per Anna» mostrati davanti al Palazzo di Giustizia.
“Le piccole cose hanno la loro importanza: è sempre per le piccole cose che ci si perde” disse Dostoevskij in Delitto e Castigo e per le piccole cose che forse si è persa la visione della verità della scomparsa di Anna.