A colloquio con Walter Di Munzio: “Sulla sanità e sull’ospedale in particolare chiedo unità”
“Il nostro Ospedale attualmente è in un limbo organizzativo, nel quale non trova né ruolo né futuro, essendo un po’ di tutto, ma in sostanza nulla”
“Credo ci sia bisogno di una grande azione culturale sul territorio della città per adeguare le aspettative della popolazione e le ambizioni degli operatori ad una realtà possibile”
Il tema dell’Ospedale e della sanità in generale nella nostra città resta di grande attualità ed interesse, nonostante in questo momento sembra essere passato in secondo piano per la crisi finanziaria del Comune metelliano. Per questo, ne abbiamo parlato con una personalità particolarmente esperta del settore, ovvero il dottore Walter Di Munzio. Cavese di adozione, psichiatra e giornalista pubblicista, Di Munzio è stato, tra l’altro, commissario sanitario a Salerno e direttore del DSM prima a Salerno e, negli ultimi anni della Asl Napoli2nord. Attualmente è Direttore Scientifico della Fondazione CeRPS e delle collane editoriali Polytropos e Polytropos-Materiali. È docente di “Valutazione di Qualità e Organizzazione dei Servizi” presso la Scuola di Specializzazione in Psichiatria della Università Vanvitelli di Napoli. Ha pubblicato 25 volumi e 309 articoli scientifici. Collabora come giornalista con quotidiani e periodici.
Confessiamo di avere le idee un po’ confuse. Sull’ospedale a Cava si è detto un po’ di tutto e di più. Facciamo innanzi tutto un po’ d’ordine. Qual è lo stato dell’arte del nosocomio metelliano e cosa si prevede nell’immediato futuro?
In effetti la situazione del presidio cavese rimane confusa e poco definita, afferisce all’Azienda Ospedaliera Universitaria di Salerno, ma in sostanza non è né università né un vero ospedale generalista. Il futuro, quindi, continua a presentarsi confuso, e lo sarà finché non si definirà ruolo e collocazione. Potrebbe essere, nell’immediato futuro, un nodo di una rete specializzata, con specifiche competenze assistenziali, se si dovesse stabilire un protocollo di intesa tra Azienda Ospedaliera e Territoriale; potrebbe essere un Ospedale di Comunità, se dovesse rientrare nei programmi di riforma della Sanità Territoriale; potrebbe continuare a rappresentare il grande sogno mancato dei cavesi, se si dovesse continuare a rimanere nell’attuale limbo organizzativo, nel quale non trova né ruolo né futuro, essendo un po’ di tutto, ma in sostanza nulla. Si sa i sogni, in fondo, accontentano tutti proprio perché non definiscono nulla né ruoli né prospettive organizzative, lasciando aperte quindi tutte le illusioni.
“Il realismo è oggi il presupposto indispensabile per poter accedere a fondi disponibili, veramente utilizzabili”
La classe politica cavese per cosa dovrebbe lottare? In altri termini, come dovrebbe agire e soprattutto per cosa, ovviamente per qualcosa di realisticamente possibile e non di sogni a buon mercato?
Sarebbe ora di finirla col trattare la sanità cavese solo in sede di fantasiosi progetti nelle campagne elettorali, troppo spesso con proposte decontestualizzate. È chiaro (o dovrebbe) che il sogno di poter avere a Cava un grande ospedale generalista, sogno legittimamente cullato da sempre dai cavesi, dovrebbe essere accantonato e si dovrebbe fare una scelta chiara e definitiva su funzioni e collocazione organizzativa di un nostro presidio. Ma queste scelte andrebbero definite con grande partecipazione e coinvolgimento di esperti e operatori (non certo di politici, soprattutto se senza specifiche competenze), non necessariamente solo cavesi, purché dotati di indiscutibili competenze da utilizzare per mettere a punto un progetto sostenibile. Ho detto sostenibile non quello desiderato. Il realismo è oggi il presupposto indispensabile per poter accedere a fondi disponibili, veramente utilizzabili, così come c’erano anche anni addietro, ma ai quali non siamo riusciti ad accedere proprio a causa della assoluta carenza di realismo organizzativo e del voler inseguire sogni di grandeur non più sostenibili e che facevano riferimento a pratiche politico amministrative del passato, anche in sanità. Oggi i fondi su cui possiamo contare sono prevalentemente quelli destinati alla Riforma della Sanità Territoriale indicata dal PNRR. Ma senza dimenticare che queste pur ingenti risorse (le uniche realmente richiedibili) sono vincolate a precisi adempimenti e scadenze, che necessitano di un assoluto rispetto delle scadenze temporali e del massimo dell’unità tra i vari decisori (politici, amministrativi e di collaborazione stretta tra i diversi livelli del potere amministrativo, inclusi i tecnici di settore più competenti). Ciò perché oggi è fortissima la concorrenza territoriale e si rischia, ancora una volta, di non vedere la prospettiva rincorrendo sogni irrealizzabili. Dovremmo velocemente definire contatti ed allargare con intelligenza la rete del bacino d’utenza e dei decisori che programmano la Sanità Territoriale. È possibile.
“Il PNRR prevede Ospedali di Comunità, Case della Salute… Cava ha tutta la possibilità di accedere ai finanziamenti, ma bisogna elaborare progetti seri e credibili”
Si parla molto dei fondi del Recovery da poter utilizzare anche per la sanità della nostra città, in particolare per una struttura ospedaliera. Come stanno veramente le cose al riguardo?
È vero! I fondi ci sono, ma non rientrano nella tradizione di quei fondi erogati a pioggia e con rendicontazione approssimata, devono essere accompagnati da una programmazione corretta e competente, sono fondi che vanno comunque contrattati e necessitano anche del confronto competitivo con altri ambiti territoriali, confrontarsi appunto sul merito e sulla qualità della propria progettualità. Bisogna elaborare, insomma, progetti seri e credibili. Cava ha tutta la possibilità di accedervi, ha sul territorio competenze e professionalità capaci. Il PNRR prevede Ospedali di Comunità, Case della Salute, personale dedicato (infermieri di comunità e specialisti vari), un sistema integrato e centralizzato di trasporto per gli utenti e gli operatori domiciliari sul modello del 118/ospedaliero, per avviare una intensa attività di assistenza domiciliare e istituire nuove articolazioni di prossimità, oltre a riorganizzare una nuova operatività della rete dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta. Bisogna anche saper valorizzare le tradizioni locali e le competenze territoriali, con appropriate case della salute e strutture di comunità. Come, per esempio, mi sembra di particolare interesse la proposta di istituire una casa della maternità, e ciò perché fa riferimento ad una lunga esperienza locale di lavoro in ambulatori distrettuali materno infantile con operatori che sono stati per anni in grado di garantire il sacrosanto diritto di interruzione consapevole di gravidanze a rischio o non sostenibili.
Il tutto riferito allo sviluppo della Sanità Territoriale. Che dovrebbero trasformare l’attuale impostazione ospedalocentrica. La riforma prevede anche l’istituzione di laboratori e centri radiologici territoriali, in grado di antagonizzare la richiesta di improprio ricovero ospedaliero solo per accedere a tali prestazioni, attualmente disponibili, tutti assieme, solo nel momento del ricovero.
Insomma, l’idea di un nuovo ospedale portata avanti da fra Gigino e poi sposata anche dalla maggioranza è fuori dalla nostra portata? Lei, anzi, come la qualificherebbe?
È un progetto suggestivo ed esteticamente gradevole, ma è esattamente ciò che si faceva il secolo scorso. Il disegno di un sogno che non è più sostenibile, superato dai tempi e dalle attuali conoscenze scientifiche e organizzative in ambito sanitario. Capisco che riesce ad attrarre interesse ed entusiasmo, ma non è proponibile perché sganciato dalle attuali possibilità attuative. Perché non impegnarsi invece nel disegnare un territorio in grado di sostenere un ospedale di comunità efficace e strutture di prossimità in grado di utilizzare al meglio le strutture già esistenti sul territorio cavese e della costiera amalfitana, che costituiscono, assieme, un bacino di utenza ottimale e rispondente ai criteri del PNRR, oltre ad essere già dotato di molte strutture utilizzabili da subito.
“Ora il rischio è perdersi in discussioni infinite e non realizzare né un ospedale di comunità, sia pur ridimensionato rispetto alle aspettative, né un ospedale generalista, di difficile realizzazione”
Rifondazione Comunista, che è una componente organica dell’attuale maggioranza che sostiene il sindaco Servalli, propone il progetto di un Ospedale di Comunità da realizzare nella nostra città, oltre ad altre strutture sanitarie. Qual è la sua opinione al riguardo?
Naturalmente, come ho già ampiamente detto, condivido appieno la proposta. È l’unica realmente sostenibile. Ora il rischio è perdersi in discussioni infinite e non realizzare né un ospedale di comunità, sia pur ridimensionato rispetto alle aspettative, né un ospedale generalista, di difficile realizzazione. Si potrebbero attivare anche altre strutture di prossimità, case della salute e ambulatori di alta specializzazione, purché collegati operazionalmente all’assistenza territoriale e domiciliare.
A suo avviso, per com’è oggi la situazione, ovvero tenendo conto soprattutto del contesto sanitario del territorio sovracomunale, cosa dovrebbe prevedere un ospedale adeguato per la nostra città?
Ne abbiamo già parlato,credo sia soprattutto necessario modificare l’attuale ottica in termini di programmazione e di realismo organizzativo. Oltre naturalmente alle procedure per accedere ai fondi disponibili.
Una domanda finale. Sulla sanità in generale nella nostra città e in particolare sull’ospedale, quali sono i suggerimenti che si sente di dare tanto ai politici quanto ai cittadini cavesi?
Unità, unità, unità. Credo ci sia bisogno di una grande azione culturale sul territorio della città per adeguare le aspettative della popolazione e le ambizioni degli operatori ad una realtà possibile. Sostituire all’assolutismo autoreferenziale della politica, gruppi di lavoro competenti e capaci di programmare la transizione. Uscire da logiche di competizione che fanno riferimento a un velleitario primato di alcune comunità per entrare con decisione in una fase nuova. Senza abbandonare i sogni, si tratta di cominciare a ragionare con realismo sul “cosa fare e come arrivare” agli obiettivi fissati. Questa operazione non è più percorribile dalla sola politica, ma bisogna saper attrarre competenze anche da altri territori, senza chiusure, ma con una grande apertura culturale e propensione all’innovazione. Anche la riforma della assistenza sanitaria è infatti una operazione “culturale” e implica una crescita della comunità intera.