«A.A.A cercasi un partito con qualche idea per il futuro. Con un gruppo dirigente in grado di pensare al domani. Dal profondo del Paese sgorga un grido di sofferenza, prima che di allarme. Gli italiani vivono una collettiva amnesia sul domani… Un vuoto di costruzione che incide, innanzitutto, sulla propensione ad andare a votare e colpisce la capacità delle persone d’immaginarsi scelte e strategie in grado di migliorare il nostro Paese”.
E’ questo un passaggio della breve ma assai incisiva analisi che accompagna l’ultima ricerca dell’istituto SWG sul tema “Gli italiani, la politica e il futuro” diffusa nella giornata di ieri.
Ne viene fuori un quadro per nulla entusiasmante, anzi, al contrario, assai allarmante, ma, tutto sommato, terribilmente realistico e veritiero che va ben oltre, come si legge nell’analisi, il «solito tratto vittimistico nostrano, né siamo di fronte alla mera espressione pessimistica di leopardiana memoria».
E’ chiaro che nel nostro Paese il problema non è solo politico, ma culturale, economico, sociale. Tuttavia, è innegabile che la questione centrale riguarda in generale la classe dirigente, e in particolare quella politica, soprattutto la sua selezione e quindi la sua qualità, il suo spessore tanto culturale quanto etico.
Al di là di quelle che possono essere le idee di ciascuno, la politica nostrana mostra uno sfilacciamento preoccupante, aggravato dalla difficoltà di individuare attraverso il meccanismo elettorale, e quindi democratico, chi veramente è chiamato alla guida del Paese con una legittimazione popolare confortata dai numeri parlamentari. Da qui una sensazione di sfinimento, nel momento in cui i processi decisionali diventano complicati e il più delle volte inconcludenti. Uno sfinimento che porta alla frustrazione tanto della stessa classe politica che dell’elettorato.
Un circolo vizioso, insomma, senza fine, senza via d’uscita. Un buco nero che tutto ingoia e distrugge: uomini, partiti, movimenti, istanze, aspirazioni.
Come se ne viene fuori da tutto ciò? Non certo con la fuga, disertando i seggi e i luoghi, anche virtuali, della politica. Per il resto, è difficile dare una ricetta, consigliare una terapia.
Forse, per trovare qualche idea, dovremmo guardare un po’ quel che accade altrove, senza per questo cadere nell’errore di ritenere che l’erba del vicino sia sempre più verde.
Con questo spirito, ad esempio, potremmo guardare un po’ a quel che è accaduto politicamente oltralpe, dove i nostri cugini francesi, messi male più o meno come noi, in pochi mesi hanno eletto un presidente giovanissimo e poco noto, dandogli poi una maggioranza parlamentare con una formazione politica da lui fondata appena un anno prima. Non solo. Ad aprile, l’attuale presidente Macron ha battuto la destra di Le Pen, che però ha superato il 30% dei voti. Alle politiche, la stessa destra di Le Pen è stata ridotta ai minimi termini, prendendo meno di dieci deputati.
Bravura dei francesi che nelle urne compiono scelte sagge ed oculate? Certo che sì, ma il merito maggiore forse è del sistema istituzionale francese, con l’elezione diretta con doppio turno del presidente della repubblica, ma più ancora di un sistema elettorale per le politiche, il quale prevede un doppio turno in collegi uninominali. Il risultato è che i francesi scelgono tanto il presidente quanto tutti i loro deputati con un sistema maggioritario, quindi in modo netto, chiaro, preciso, con una selezione assai stringente del personale politico. Il risultato immediato? In Francia si sa chi governa e non ha alibi, avendo tutti i poteri e i numeri, anche parlamentari.
Certo, questo non vuol dire che la Francia d’incanto risolverà i suoi problemi. Magari, glielo auguriamo ai nostri cugini, ma non è proprio così facile e scontato. Tuttavia, non si può negare che i francesi hanno scommesso sul futuro, su una nuova classe dirigente, su un progetto di crescita e di sviluppo. Poi, a tempo debito, tireranno le somme.
Questo per dire che, contrariamente a quanto spesso i nostri politici vogliono farci credere, il sistema elettorale è uno strumento decisivo e indispensabile, quantunque non sufficiente, per mettere innanzi tutto in sintonia la politica con l’elettorato, ma anche di rimettere in carreggiata il Paese e dargli una nuova idea di futuro, oltre che una migliore e più credibile classe dirigente.
Il problema vero, però, è che la nostra nuova legge elettorale non scenderà dal cielo ma deve essere messa a punto dall’attuale classe politica, la quale, pur di salvarsi e curare il proprio interesse di restare a galla, è stata capace finora di creare o il nulla o solo papocchi.
Per dirla tutta, come cittadini-elettori siamo nel mastrillo, nella trappola per topi, e lì corriamo il rischio di restare.
In conclusione, prendendo in prestito i versi del Sommo Poeta, potremmo dire, guardando la politica nazionale, «per me si va ne la città dolente, per me si va ne l’etterno dolore/ per me si va tra la perduta gente…/ Lasciate ogni speranza, voi ch’entrate».
L’auspicio, ovviamente, è di sbagliarci.