Ucraina, diplomazia dell’insulto e delle minacce
Ucraina, diplomazia dell’insulto e delle minacce
La resistenza degli ucraini merita rispetto, sostegno e solidarietà. Così come non c’è alcuna ragionevolezza per argomentare legittimazioni all’invasione dei carri armati russi sul territorio di uno Stato sovrano.
Di fronte alle immagini delle devastazioni rese dai mas-media inquieta il crescendo di parole che rimbalzano tra Mosca e Washington a proposito della probabilità di ricorsi ad armi non convenzionali: chimiche, batteriologiche ed, in extremis, nucleari.
Il richiamo alle esternazioni provenienti dai leader di entrambe le capitali non vuole essere una presa di distanza del tipo “né con l’uno e né con l’altro”, ma la realistica preoccupazione per un evento tragicamente incombente nel cuore dell’Europa.
Sul punto non sembra che abbiano avuto ascolto le parole di Papa Francesco: “Pazzi! La vera risposta non sono le armi, altre ragioni, altre alleanze politico-militari, ma un modo diverso di governare il mondo. La guerra è una vergogna”.
Il che non vuol dire per ciascun popolo di rinunziare al diritto di difendere il proprio Paese anche se può “comportare talvolta il triste ricorso alle armi” (copyright del Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato del Vaticano).
Un mondo senza conflitti è un’idea irenica, mentre la realtà è fatta di patologie, delle quali la guerra è la più tragica.
La pedagogia delle bombe praticata negli ultimi 30 anni, anche con consenso ONU, in diversi scacchieri del mondo non ha curato alcuna patologia e non può dirsi che sia stato di ausilio a far conseguire politiche di pacificazione.
Così come, la contrapposizione muscolare tra l’Occidente, che si riconosce sotto l’ombrello della NATO, e la Russia dell’oligarca Putin non è assimilabile al confronto con l’Unione Sovietica. La cosiddetta “guerra fredda” non è stata solo dispiegamento di missili ma anche divergenze ideologiche che hanno animato, fino alla caduta del Muro di Berlino.
Il dibattito politico e socio-culturale interno all’Europa, soprattutto in Italia, e dissensi e rivolte popolari nei Paesi assoggettati nell’altro emisfero geopolitico, segnatamente Ungheria, Polonia e Cecoslovacchia.
Si tratta di un richiamo necessario al fine di evidenziare la diversa natura della cosiddetta guerra russo/ucraina, se così si vuol chiamare, perché motivata da controversie territoriali o presunte irredentiste, comunque spinta da una volontà di egemonia del Presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin, fino a prefigurare la caduta del legittimo Governo di Kiev, finora non riuscita, con l’insediamento di un fantoccio al posto di Zelenski.
Prassi, per la verità, già in uso sotto altre bandiere in diverse parti del mondo. Adesso, a poco meno di un mese dall’inizio delle operazioni belliche in Ucraina, è J. Biden, Presidente USA, ad alzare il tiro contro l’omologo russo, definendolo “macellaio”, la cui semantica non diplomatica ma incendiaria corrisponde al detto napoletano “mettere ‘o pepe ‘n culo ‘a zoccola”. “Putin non può restare al potere” – sono sue parole, poi rettificate – perché “strangola la democrazia”, alle quali il Cremlino ha risposto: “i russi decidono chi li governa”. Come a dire che i sistemi politici non si importano.
In questo contesto di insulti e minacce va disvelandosi sulla cruda realtà della guerra vissuta dal popolo ucraino lo scontro fra i cosiddetti grandi della terra per l’affermazione e/o restaurazione di domini ed influenze militarmente protette.
E si capisce la “disattenzione” di costoro sui contenuti del messaggio di Papa Francesco, un po’ meno l’indifferenza delle cancellerie europee, ricattate o condizionate da fabbisogni energetici, rispetto alla responsabilità di ricucire lacerazioni e ferite che minano la convivenza di Nazioni e popoli di comune identità cristiana.
Un tema, questo, di civiltà piuttosto che di vertici di tecnica politica, rimosso o sospeso che si ripropone puntuale ad ogni crisi esistenziale per l’uomo, nonostante i mascheramenti mediatici e/o le devianze cybernetiche.