Tappa o corsa al Colle, partiti in surplace
Mario Draghi è meglio trattenerlo a Palazzo Chigi o trasferirgli la residenza al Quirinale?
L’interessato apparentemente non sembra avere manifestato intenzioni o preferenze per un prolungamento del suo soggiorno nei palazzi della Politica. Lui, più che by-passare l’argomento, nella Conferenza Stampa per il consuntivo dell’attività del Governo ha rilanciato sulla posta in gioco. Dicendo ai detentori delle schede da introdurre nell’urna presidenziale: “se vi spaccate per l’elezione del Capo dello Stato, come fate a ricomporvi in maggioranza di Governo?”, ha posto non tanto una questione di metodo quanto di sopravvivenza della politica come progetto e visione delle istituzioni.
Si tratta di un nodo che va al là del nome e del profilo del candidato sulla cui designazione i leader dei partiti stanno offrendo combinati disposti secondo logiche novecentesche, quando le forze politiche in campo si identificavano, ciascuna per comunanza di ideali, e si ritrovavano strutturate in organizzazioni di massa e Gruppi parlamentari controllabili.
Nelle narrazioni delle precedenti elezioni di Presidenti della Repubblica si racconta di ripetute votazioni sofferte o bocciature inaspettate, ma anche di convergenze convinte e premiate; viene pure evocato il fenomeno dei “franchi tiratori” riconducibile a forme di libertà di dissenso o a imboscate dei cosiddetti “peones”, parlamentari senza voce ne’ facoltà decisionali nell’ambito dei loro gruppi di appartenenza.
La loro forza si manifesta più accentuata in un Parlamento come quello attuale caratterizzato da cambi e ricambi di casacca e dalla diaspora pentastellata che investe la formazione di maggioranza relativa uscita dalle urne del 2018.
Sono prevedibili volatilità di comportamenti e caccia al voto dei “cani sciolti”, cioè dei grandi elettori senza vincoli di gruppo. Secondo la logica del pallottoliere, il loro apporto appare determinante e, perciò, si capisce il lavoro di reclutamento posto in essere dagli sherpa del centrodestra a sostegno di Silvio Berlusconi (unica candidatura finora vagheggiata) e da parte di quelli di centrosinistra per impedirne o dissuaderne la scalata al Colle.
In entrambe le operazioni si intravedono ombre prive di dignità politica e si comprende il surplace che rimanda ai giochi di aula e di corridoio la conta finale.
Al momento si può fare solo fantapolitica su possibili outsider, come opportunamente e senso dell’umorismo congettura Antonio Polito sul Corriere della Sera. Nel surplace è possibile intravedere anche la ricerca di alternative o tentativi di rivincita dei partiti rispetto all’indirizzo tecnocratico incardinato da Mario Draghi, ma reso necessario dal collasso delle istituzioni e delle tradizionali relazioni politiche e sociali rispetto allo scenario di macerie prodotte dalla pandemia.
Sul punto trova fondamento il citato quesito posto da Mario Draghi: vale per chiunque sarà l’inquilino di Palazzo Chigi per questo scorcio di legislatura o al Quirinale fino alla conclusione della prossima legislatura.
L’appuntamento che andrà in onda nell’Aula di Montecitorio tra il 20 ed il 24 gennaio prossimo potrà segnare una svolta epocale dopo un ventennio di politica rinunciataria dei tradizionali partiti travolti da neo movimenti di protesta e depotenziati dall’assenteismo.
Al momento non si scorgono segnali di decollo: prevale il chiacchiericcio del cambiamento, rimanendo nei medesimi stalli, salvo illuminazioni per uscire dal “cul… de sac…” dell’antipolitica.