scritto da Pino Pisicchio - 26 Ottobre 2015 14:08

Suburra e la grammatica dell’antipolitica

Il destino di un film che abbia l’ambizione  di superare il puro intrattenimento è quello di prestarsi a molteplici strati di “lettura”. Insomma: c’e’ un “testo”, offerto al pubblico di bocca buona, e uno o più  “sottotesti”, destinati ai critici professionisti e al pubblico che si attribuisce un palato più fine.

“Suburra”, il film  di Stefano Sollima, caricato di molte ambizioni, forse anche oltre le intenzioni del suo regista (che è un buon artigiano di genere attrezzato per fiction televisive), non ha sottotesti. E’ parente stretto dei “romanzi criminali”, delle ” gomorre” (anche per onomatopeia), delle “squadre” seriali del piccolo schermo, con in più una quantità industriale di macelleria e di strizzate d’occhio alla narrazione, che fa tanto tendenza, di ogni vituperio anticasta. Già De Cataldo, autore, con Bonini, del noir in versione cartastampata, aveva attinto a doppie mani dalla cronaca più becera -l’onorevole che si sollazza con la coppia di escort e le polverine bianche nella camera dell’hotel Flora, con finale al pronto soccorso per la professionista ospitata- caricando i  lacerti di memoria collettiva con un di più orrorifico. Sollima di suo ci mette il carico da novanta per il racconto di una Roma plumbea e irrimediabile, racconto che ha avuto nel lunghissimo funerale del Casamonica e nella stentata  e ansiogena rapsodia della giunta Marino, la sua grassa e interminabile promozione.

Altro che marketing all’americana: i mali di Roma capitale e la loro scansione inesorabile hanno fatto da rampa di lancio a questo fumettone col retrogusto al Grand Guignol e una spruzzatina di action movie firmata Segal.  E con stratificazioni e crossroad di bande e clan malavitosi, da quelli della Magliana, perennemente impigliati nella penna di De Cataldo, ai più contemporanei e sanguinari di etnia rom, ai soliti faccendieri del mondo di sopra e di sotto. Ad un Papa Ratzinger in ambasce che, dando costantemente le spalle all’obiettivo, ci fa sapere che sta per dimettersi, intento che si farebbe metafora della desistenza.

Un gettar la spugna, dunque, persino dei Santi in una Roma battuta da una pioggia notturna e cattiva. Amen.

Quando finisce il film esci con un retrogusto sbagliato. E non solo per la catena infinita degli ammazzamenti, inutilmente feroci e dettagliati, ma perché hai la sensazione che tutto il film sia fuori centro. In fondo, il mondo di sotto dei criminali a vario titolo, i cattivi di turno,  è l’alimento di base di ogni action movie: retequattro propina quasi ogni sera, un ricco bouquet di vecchie efferatezze omicide con star alla Van Damme e Segal.  E’ il chiamare dentro il Parlamento che non si motiva. Intanto, in punto di logica: una variante urbanistica al piano regolatore di Ostia si decide nella legge di stabilità? E poi, da quale pianeta sbarca quello sceneggiatore che ancora è convinto che un solo deputato sia in grado di modificare in forza di un suo emendamento importanti impianti normativi, trascinando addirittura la maggioranza nel voto d’aula? La verità è che questo film rispetta pienamente la grammatica del dibattito pubblico che racconta il male assoluto della politica attraverso le maschere di parlamentari corrotti, simbolo, appunto, di una politica fallita. Accarezzando  l’antico pelo antiparlamentarista -quello, per capirci, dell’aula sorda e grigia- che torna a giganteggiare nella stagione dell’antipolitica affluente.

Questo film avrebbe potuto essere prodotto da Beppe Grillo e invece è coprodotto dalla Rai. La cosa comica è stata ascoltare in giro per i talk show dove andavano a fare promozione, gli ammonimenti carichi di indignazione e gli ammaestramenti  al popolo soverchiato da politici indegni, fatti  da Favino e Amendola. Quelli stessi che sorridevano felici nei selfie con i mejo rampolli dei nuovi  clan malavitosi de’ Roma.
Pino Pisicchio

Una risposta a “Suburra e la grammatica dell’antipolitica”

  1. 9.11.2015 – By Nino Maiorino – Assolutamente in disaccordo. Se l’autore dell’articolo è l’On. Giuseppe Pisicchio, detto Pino, attualmente Deputato, Presidente del Gruppo Misto della Camera, ora Indipendente dopo aver cambiato diversi partiti, si comprende la sua irritazione: fa parte della Casta e la difende. Chi, come me, ha visto il film, non può non essere rimasto profondamente colpito, rilevando in quei personaggi, “finti”, quei tanti personaggi veri che si aggirano nei palazzi romani e le cui malefatte quotidianamente riempiono i giornali e i programmi di approfondimento radiofonici e televisivi. Tra l’altro sono rimasto colpito anche dalla circostanza che il film è stato messo in cantiere ben prima che scoppiassero gli ultimi scandali, segno che il regista Squitieri, profondo conoscitore della realtà romana, lo ha girato proprio in virtù di tali sue conoscenze, senza prevedere che, dopo pochi mesi, le tristi vicende emerse confermassero in pieno quello che era stata la sua finzione cinematografica.
    Se, diversamente, l’autore dell’articolo non è l’On. Pisicchio, me ne scuso con lo stesso e non spreco ulteriori parole nei riguardi dell’effettivo articolista.

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