Il lavoro svolto e la dottrina applicata da Paolo Borsellino e Giovanni Falcone nella lotta a Cosa Nostra hanno consentito di disvelare fatti e relazioni dell’universo mafioso la cui configurazione ha resistito in termini di diritto fino alla Cassazione.
Va ricordato nel trentunesimo anniversario della Strage di Via D’Amelio, quando il 19 Luglio 1992 l’esplosione di un’autovettura super imbottita di tritolo ha interrotto la vita di Paolo Borsellino, magistrato, e dei cinque.componenti della sua scorta: Agostino Catalano, Walter Cusina, Vincenzo Li Muti, Emanuela Loi e Claudio Traina.
E vale, anche, fuori dalla ritualità commemorativa, per ricordare trame ed atmosfere di veleni, se non di vere e proprie ostilità, in cui entrambi hanno condotto le loro indagini.
Ne hanno subito ed avvertito il peso per via mediatica ed all’interno dei Palazzi di Giustizia, fino a dover rispondere davanti al CSM dell’epoca sui loro metodi e procedure di indagine ostacolati da voci togate e contestati attraverso esposti di figure di una élite di intellettuali della sinistra palermitana impegnata anche in politica.
Su quest’ultimo punto è significativa l’ammissione resa, appena due giorni dopo la strage di Capaci (22 maggio 1992), da Piero Sansonetti, allora giovane cronista del quotiamo “Unità” scriveva: “Siamo stati faziosi” perché “abbiamo fatto prevalere il dubbio politico e non riconosciuto capacità di comprensione teorica del fenomeno mafioso, per conoscenza giudiziaria e per carisma”.
La stessa dottrina e conoscenza sia di Giovanni Falcone che di Paolo Borsellino sulle dinamiche e contaminazioni mafiose in rami dell’amministrazione dello Stato non si sono riscontrate nella sequenza di processi sulla strage di Via D’Amelio, inciampati in devianze ed omissioni, e nelle successive interpretazioni politologiche che hanno alimentato il dibattito pubblico concernente l’ipotesi di trattativa Stato/mafia, incardinata dalla Procura di Palermo, e sulla matrice della stagione stragista degli attentati del 1993.
Per Via D’Amelio ne sono stati celebrati quattro: il secondo per smentire le conclusioni del primo; il ter per sentenziare che dietro la soppressione di Paolo Borsellino ci fossero le indagini su mafia ed appalti; il quater che non ha diradato le ombre sul ruolo dei servizi certifica testimonianze sull’isolamento e tradimento da lui patiti nel “covo di vipere” del Palazzo di Giustizia di Palermo.
E rimane ancora non risolto il giallo della “agenda rossa” sulla quale egli soleva annotare appuntamenti e riscontri, la cui scomparsa configura dinamiche inconfessabili interne all’amministrazione giudiziaria.
Sulla trattativa Stato/mafia che ha interessato per vent’anni alti ufficiali dei Carabinieri, esponenti dell’amministrazione dello Stato e leader politici, la Cassazione ha stabilito che il fatto non sussiste. Mentre la Procura di Firenze tiene viva la ricerca di presunti mandanti della strage di Via dei Georgofili sulla scorta di una foto esibita e poi negata da un sedicente collaboratore di giustizia, Salvatore Baiardo, nella quale figurerebbe Silvio Berlusconi con i boss Giuseppe e Filippo Graviano.
Il tempo riuscirà a mettere al giusto posto fatti e personaggi incrociati nelle croniche giudiziarie degli ultimi trent’anni? Per la collocazione di ciascuno di essi nei meandri della storia civile del Paese, più che le narrazioni giornalistiche, valgono le conseguenze di atti compiuti sulle sabbie mobili di procedure risultate devianti per la convivenza politica nel contesto del tessuto democratico costituito.
Quanti di coloro che hanno avuto il potere di esercitare indagini non si sono sottratti alla domanda critica e necessaria per la salvaguardia dei diritti dell’indagato? Da chi e per chi le iniziative intraprese, formalmente corrette ma scivolose nella sostanza, sono state utilizzate per scopi di lotta politica?
Il sacrificio di Paolo Borsellino e di Giovanni Falcone, cultori della razionalità del diritto e della sacralità dell’autonomia e dell’indipendenza della giurisdizione, segna uno spartiacque di modello comportamentale, per quello che hanno fatto e sono stati.
Coscienti delle ambigue parentele della mafia, inquinanti per le funzioni delle istituzioni e dirompenti per la loro credibilità, aborrivano l’antimafia politicante.
E ne sono stati bersagli ed isolati.