Ai miei alunni, a inizio anno scolastico, sono solito affidare un’idea, una provocazione alla quale devono rispondere con l’elaborazione di un tema, un disegno, una riflessione. Lo faccio per percepirne l’eventuale passione con cui si pongono dinanzi ai grandi temi della vita e della storia.
Ne ho letto più di un centinaio e… vorrei essere anche io un “diverso”! Ebbene sì: noi adulti che abbiamo dato al termine “diverso” un significato ghettizzante, per i ragazzi tale termine è sinonimo di accoglienza, opportunità, ricchezza. Non si ha nemmeno la più pallida idea della capacità di rispetto, di stupore, di misericordia che i ragazzi hanno dichiarato di mostrare verso chi, ancora oggi, è bollato come diverso.
Quegli stessi ragazzi che casomai consumano le serate nelle sale di san Francesco, con una birra in mano (e casomai purtroppo anche una canna) hanno una così potente percezione di ciò che rende non diversa ma speciale una persona differente da sé stessi.
Si parla di disagio giovanile, di liquidità della vita dei ragazzi, di pensiero debole (che paroloni)… Penso che dovremmo solo imparare ad ascoltarli, anche nei loro silenzi e nelle sfide camuffate dal disinteresse o disagio.
Mentre leggevo i loro temi, guardavo i loro disegni, immaginavo i loro occhi che vedevano prendere forma su carta quello che probabilmente noi adulti abbiamo buttato fuori dal nostro cuore: la capacità di stupore.
E a coloro che si sentono diversi, per qualsiasi ragione, posso dire che c’è una marea di ragazzi che li ama… e scusate se è poco!