“La situazione politica in Italia è grave ma non è seria” scriveva tanti anni fa Ennio Flaiano, il grande scrittore, giornalista e sceneggiatore al quale in tanti si sono ispirati negli anni successivi.
Sembra una battuta di spirito, un aforisma collocato nell’epoca della prima repubblica, ma non è così: più si va avanti negli anni, nelle politiche e nei governi, più quella battuta si rivela attuale, specialmente quando vengono a galla certi episodi come, ad esempio, questi due che ci limitiamo a descrivere.
Il già più volte “disgraziato” Comune di Roma sembra sia stato vittima di una maxi-truffa con un filo di nickel.
Il termine “disgraziato” è inteso nel senso che il Comune è già subissato da tante disgrazie, come i bus che continuamente si incendiano, gli alberi che continuano a cadere, la “monnezza” che non si riesce a raccogliere e a smaltire, le buche che non si riesce a riparare, le “zoccole” (= i ratti) che assediano i capitolini, il via-vai di dirigenti-consulenti-assessori il cui “turn-over”, specialmente nei primi mesi dell’amministrazione Raggi, è stato particolarmente veloce (forse superato solo da quello dei collaboratori di Trump), le finanze sempre languenti, e il bilancio sempre “milionariamente” deficitario; e ora deve sopportare un’altra emergenza collegata ad una truffa di circa 55.milioni di euro architettata da un imprenditore calabrese, che sembra sia un esperto in maxi-operazioni di tale genere.
L’episodio è stato riportato dal quotidiano capitolino “Il Messaggero” e anche Radio.24 lo ha largamente illustrato chiosando sull’accaduto che sa di incredibile e fa sospettare connivenze ad alto livello in Campidoglio; e l’ironia ci ha fatto iniziare bene la giornata di San Valentino.
A seguito di un contenzioso tra il Comune e un finanziere, detto “Il marchese”, di origine calabrese, il Comune, con sentenza di primo grado, fu condannato al risarcimento di circa 30 milioni cosa che, irritualmente e senza attendere i successivi gradi di giudizio, si precipitò a fare. Ma in appello la sentenza fu ribaltata e il Comune chiese al “marchese” la restituzione della somma; ma il “marchese”, che evidentemente non aveva alcuna voglia di rimborsare, piangendo miseria convinse il Comune di accettare in cambio un oggetto a suo dire di valore quasi doppio, un filo di nickel di circa 200 chilometri che una perizia, probabilmente taroccata, aveva valutato 55 milioni. Il Comune accolse di buon grado la proposta nella convinzione di aver fatto un grande affare, e per anni ha riportato in bilancio, fra le attività, appunto quei 55 milioni del filo di nickel, gelosamente custodito in un caveaux, la cui sorveglianza è costata la bazzecola di circa 200 mila euro l’anno. Più volte il Comune tentò di vendere all’asta il “prezioso” oggetto, senza mai riuscirci, ma nessuno ha mai sospettato nulla.
Ma -quando si dice che il diavolo fa le pentole ma non i coperchi- la cosa è venuta fuori per caso a seguito di una indagine della Guardia di Finanza nei confronti del sedicente “marchese” calabrese per una analoga truffa avvenuta a Vicenza, con un altro filo di nickel risultato pure esso privo di valore, dal che gli agenti, collegando le due cose, hanno posto sotto sequestro anche quello di Roma che, appunto, è risultato privo di valore.
Stranamente, accettando quell’offerta, nessuno dei tanti superpagati dirigenti capitolini si preoccupò di far fare una controperizia per accertare l’effettivo valore di quel pegno e ora il Comune si vede costretto ad aumentare il deficit patrimoniale di ulteriori di 55 milioni.
Una vicenda che è stata paragonata all’episodio di Totò che, con la complicità di Nino Taranto, vendeva il Colosseo a un babbeo americano pieno di soldi, o al film “Pacco, doppio pacco e contropaccotto” di Nanni Loi.
Al Comune di Napoli sembra che si registri un vero e proprio boom di separazioni e divorzi, e non perché siano in crisi i matrimoni o le convivenze, ma perché i napoletani, da sempre abituati ad arrangiarsi e ad inventare ogni giorno qualche espediente per sbarcare il lunario, pare che si siano buttati a capo fitto sul “reddito di cittadinanza” la cui legge è stato appena approvata dal Parlamento, salvo i “correttivi” che i pentastellati e i leghisti dovrebbero apportare alle norme in vigore per evitare abusi. Visto che la legge sembra penalizzare i nuclei familiari tradizionali e privilegiare quelli che sono costituiti da un nucleo ristretto, i single sembrano agevolati: ecco la corsa a separazioni e divorzi, sui quali la Polizia municipale sta indagando.
Ovviamente i nostri insigni statisti pentastellati sembrano essere cascati dalle nuvole, giacché mai avrebbero potuto prevedere una tale circostanza, probabilmente perché, essendo sempre vissuti sul pianeta Marte o in quelli viciniori, era difficile che potessero ipotizzare tale eventualità in questo paese ad essi sconosciuto!
Sembra che il co-vice-premier Salvini, certamente più furbo e più disincantato del suo omologo grillino, abbia già messo le mani avanti, sia per limitare i danni derivanti da tali situazioni, sia anche per aumentare le ore lavorate dai percettori, attualmente fissate a solo otto settimanali, che potrebbero essere notevolmente aumentate in maniera che i beneficiati facciano meno ricorso all’ormai famoso divano, sia per limitare a una o massimo due possibilità di inserimento invece delle tre ora previste.
Purtroppo, nessuno dei due “statisti” sembra aver capito che per assegnare un lavoro è condizione indispensabile che il lavoro ci sia e che i pure i famosi “navigator”, figura nebulosa che non si sa bene come e quando verrà alla luce, se il lavoro non c’è non se lo potranno inventare; e se il lavoro non verrà offerto, non si capisce come finirà questo oramai famoso “rdc”.
Ovviamente la parte pentastellata del governo non vede di buon occhio questa ulteriore intrusione del Ministro con le felpe delle forze dell’ordine, comunque sembra che si stiano studiando misure di controllo finalizzate a individuare e bloccare qualsiasi marchingegno popolare: il condizionale è d’obbligo in quanto se gli stessi ideatori e costruttori di questo grattacielo non si raccapezzano, immagina come può farlo un umile commentatore, per di più di una provincia del sud.
Staremo a vedere cosa verrà fuori, frattanto la partenza di questo famoso reddito di cittadinanza sembra allontanarsi sempre di più: probabilmente per una risposta definitiva sulla entità dello stesso, sulla sua sostenibilità da parte delle finanze pubbliche e sulla sua entrata in vigore dovremo attendere le prossime elezioni europee che potrebbero costituire la boa contro la quale l’attuale esecutivo andrà a sbattere.
Ci sarebbe anche il grave sgarbo dell’UE all’Italia che si è consumato allorquando il nostro Premier Conte, nel corso dell’Assemblea plenaria dell’Europarlamento, è stato duramente apostrofato di essere un burattino nelle mani di Di Maio e Salvini, i suoi due vice che lo tengono sotto scacco e che lo trattano come fosse il loro esecutore di ordini.
Ma quest’argomento è troppo ghiotto e richiede qualche maggiore approfondimento, talché, anche per ragioni di spazio e per non tediare eccessivamente i lettori, riteniamo di trattarlo in separata sede.
Nulla togliendo alla comicità delle due situazioni descritte che ci riportano all’aforisma di Flaiano il quale, purtroppo, anche in questa seconda, o terza, repubblica calza a pennello.