Sequenza scioperi trasporti e strategia politica del disagio
La sollecitazione alla “rivolta sociale” lanciata da Landini in “piazza” non può essere registrata come un semplice slogan sindacale perché ha una valenza politica
Agitare la Costituzione per la tutela e la difesa dei propri diritti, sociali e politici è cosa buona e giusta ed allo stesso modo poterli manifestare, liberamente, in piazza, in altri luoghi ed in diversi modi di comunicazione.
Riserve e dubbi insorgono quando le relative rivendicazioni collettive di categoria, ancorché legittime, si sovrappongono a quelle individuali o si vestono di contestazioni ideologiche.
Si tratta di una premessa necessaria nelle stagioni di rinnovi contrattuali di lavoro, cui spesso si sommano o si accodano mobilitazioni studentesche, per la pace o per condividere una delle bandiere in guerra. Sia le cronache già scritte che quelle contemporanee sono state e sono fonti di confronti e scontri che spesso esondano dalle dimensioni della normale dialettica sindacale e dai flussi di informazione giornalistica. Perciò, è cosa buona e giusta contestualizzare gli articoli 36, 40 e 21 della Costituzione: il primo afferma il diritto del lavoratore “ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”; gli altri due riguardano, rispettivamente, l’esercizio del diritto di sciopero “nell’ambito della legge che lo regola” (146/90) e la libertà per tutti di “manifestare…il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di comunicazione”. Anche per l’attuazione ed esercizio di quest’ultimo diritto c’è un vasta e complessa legislazione e giurisprudenza su tutela e limiti di espressione. Dunque, lo sciopero è una manifestazione legittima e necessaria quando si tratta di difendere il valore del lavoro e di tutelarne la dignità, ma diviene un problema per quando, come e perché viene programmato ed attuato interferendo sull’esercizio di altri diritti individuali e collettivi relativi alla fruizione di servizi pubblici o di pubblica utilità.
Parallelamente al bilanciamento (non sempre funziona!) della divergenza di interessi, rimandato ad un’apposita Commissione di garanzia prevista dalla citata legge 146/90, la cronaca recente degli scioperi ci restituisce una frequenza cadenzata sui “venerdì” e ripetitiva nel settore dei trasporti con uno scenario di disagi per famiglie ed altre comunità del mondo del lavoro, del commercio e dei servizi incompatibile con i moduli di svolgimento, mobilità ed organizzazione della vita di intere e complesse realtà urbane, metropolitane e nazionale. Se ne capiscono le ragioni dei relativi risentimenti, fonti di narrazioni giornalistiche o di valutazioni percepibili come una sorta di strategia del disagio politicamente orientato.
Sul punto si incrociano, da un lato, al di là degli scontri sindacali, le vocazioni politiche manifestate dal Segretario della CGL, Maurizio Landini, mirate a destabilizzare il Governo, e dall’altro il protagonismo del Ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, ossessionato dalla sindrome del dispetto. E sono i dati degli scioperi nazionali dei trasporti a segnarne il discrimine politicante dei comportamenti posti in essere dal sindacato negli ultimi sei anni: ne sono stati indetti ed attuati, durante il Governo Conte (1 e 2) 25 nel 2019, 21 nel 2029, 27 nel 2021 e con il Governo Meloni 32 nel 2022, 47 nel 2023 e 49 nel 2024.
C’è qualcosa di insondabile in questo crescendo ricorso alle agitazioni di piazza, anche su altri temi, le cui contestazioni sono destinate al Governo ma che delegittimano, nel contempo, le funzioni dei partiti, ai quali la Costituzione attribuisce ed affida la rappresentanza in Parlamento degli interessi, dei bisogni e delle tendenze che vanno maturandosi nella società sotto forma di volontà popolare. Perciò, la sollecitazione alla “rivolta sociale” lanciata da Landini in “piazza” non può essere registrata come un semplice slogan sindacale perché ha una valenza politica.
Le parole rispecchiano abitudini linguistiche che “sono spesso sintomi importanti di sentimenti inespressi” (copyright da Umberto Eco). E le due rivolte alla folla da Landini, se non sono un lapsus, rispecchierebbero limitatezza linguistica o un retro pensiero incompatibile con la cultura di una democrazia parlamentare.
Sono due dei dodici segnali classificati da Umberto Eco come sintomi di “Ur-Fascismo in abiti civili”.
Absit iniuria verbis.