Questa lunga ed estenuante campagna referendaria si sta ormai avviando al suo rush finale. Al 4 dicembre, infatti, mancano appena una ventina di giorni, dopodiché, finalmente, nel nostro Paese si continuerà a parlare anche di altro, magari di quello che più angustia quotidianamente i comuni mortali. E, in proposito, gli argomenti non mancano per davvero. Tuttavia, anche il passaggio referendario, checché se ne dica, fa parte ed incide sul nostro vissuto, così come il suo esito.
Eh sì, quello che verrà fuori dalle urne e cosa avverrà dal successivo 5 dicembre intriga un po’ tutti, non solo gli addetti ai lavori.
Se vinceranno i Sì, è scontato che il nostro giovane premier Renzi diventerà ancor più incontenibile (è un eufemismo, ovviamente) di quanto già oggi non lo sia. Non ce ne sarà per nessuno.
Ricordate Vae victis, il Guai ai vinti pronunciato dal barbaro Brenno rivolgendosi ai romani sconfitti? Come Brenno, Renzi sguainerà idealmente la sua spada e la calerà pesantemente sulla bilancia della politica italiana. In questo caso, restando nel tema, non ci sarebbero affatto le oche del Campidoglio a salvare i perdenti, soprattutto quelli del Pd, il suo partito. Sarebbe più che comprensibile e scontato, d’altronde, visto lo scontro che sta sostenendo, una sorta di partita di Renzi contro il resto del mondo, quello della politica italiana. Altro che rottamazione, nel Pd ci sarebbe di sicuro una carneficina politica ad opera di Renzi-Pol Pot.
Lo scenario muterebbe del tutto, ovviamente, in caso di vittoria del No. Cosa succederà? Mah, ci vorrebbe davvero la sfera di cristallo per capire quali saranno gli sviluppi politici post-referendum.
Possiamo solo immaginare, fare supposizione, più o meno fantasticare. Diciamo che, ma non è scontato, Renzi dovrebbe almeno rassegnare le dimissioni da premier, accettate con la rituale formula della riserva da parte del presidente della repubblica Mattarella. E poi? E’ scontato che senza i numeri del Pd, di cui Renzi resterebbe leader anche se acciaccato, non sarebbe possibile affatto formare un nuovo governo. A meno che non si vada ad elezioni anticipate, ipotesi non da escludere, potrebbe essere costituito un governo di necessità e di transizione, insomma più o meno istituzionale, a guida o comunque sostenuto dal Pd e con l’appoggio se non proprio l’ingresso in maggioranza o addirittura nello stesso esecutivo di Forza Italia. In questo caso, ammesso che tale ipotesi si verifichi per davvero, Renzi continuerebbe a tenere la situazione governativa sotto controllo, ma, nello stesso tempo, avrebbe le mani libere per modellare il partito a sua immagine e somiglianza, ma anche per rafforzarsi elettoralmente in vista delle successive elezioni politiche.
In conclusione, anche nell’ipotesi di sconfitta al referendum, Renzi resterà prepotentemente a galla, soprattutto se il Sì supererà il 40%. Certo, la sua leadership risulterà scalfita e ridimensionata, ma per nulla azzerata. I suoi avversari, interni ed esterni al Pd, dovranno ancora per un bel po’ fare i conti con lui. Inevitabilmente. In altre parole, una vittoria del No interromperebbe la marcia trionfale di Renzi, ma di sicuro non segnerebbe il suo tramonto politico.
Se così sarà, il 4 dicembre andiamo a votare senza particolari patemi d’animo. Tanto, il giorno dopo, non solo sorgerà nuovamente il sole, come ci ha amabilmente rassicurato Obama, ma ci ritroveremo intatto tutto lo zoo della politica italiana, da Renzi a Grillo, da Alfano a Salvini, da Monti a Vendola, da Verdini a Berlusconi…