Il voto del 4 dicembre nella storia delle cronache politiche locali sarà ricordato come il Referendum della “frittura di alici” e del “totano arrostito”, di cui Vincenzo De Luca ha il copyright.
Un linguaggio di metafore colorate che rompe con la noiosa prosa del politicamente corretto. Già noto ai salernitani, è uscito dai confini municipali dei media locali ed ha conquistato l’attenzione degli editorialisti delle maggiori testate giornalistiche italiane. Il suo autore ne ha fatto uso, prima, in maniera pragmatica per convincere 300 Sindaci a votare “Si” in segno di gratitudine per la promessa di finanziamenti pubblici per i loro territori e, dopo, lo ha utilizzato, in maniera ironica, o per ridicolizzare coloro che gli contestano intenti di “voto di scambio” o per alleggerire una situazione insostenibile sul piano dell’etica pubblica.
Il dubbio lo può sciogliere solo lui. Ma anche in termini di comunicazione resta il busillis sul senso di parole che possono fare del male alla reputazione delle istituzioni o sulla efficacia di una trovata linguistica per fare digerire una riforma che non entusiasma. Mischiare la riforma costituzionale con questioni concernenti elargizione di soldi pubblici non è una operazione di alto profilo ma può essere un argomento convincente per fare superare i timori sul cosiddetto “salto nel buio” nel caso di una bocciatura che coinvolgesse anche il Governo Renzi.
Non a caso, in ausilio alla campagna referendaria, il fabbisogno di flussi finanziari in favore della Campania è stato agitato come un’asta per saltare il fossato dell’incertezza.
Al di là del bene e del male.