scritto da Gildo De Stefano - 08 Agosto 2023 12:59

RAI: Orrore! Orrore!

A scorrere l’elenco dei futuri palinsesti della tv nazionale viene in mente l’esclamazione finale del protagonista di “Cuore di Tenebra”, il capolavoro di Joseph Conrad (ripresa pari pari in “Apocalyspe now” di Francis Ford Coppola), vale a dire “l’orrore, l’orrore!… “.

E non può essere diversamente se si fa attenzione ai programmi e ai nomi dei protagonisti che saremo costretti a sorbirci prossimamente, a partire dall’autunno e fino all’estate del 2024. In barba a qualsiasi promessa di rinnovamento sia di nomi che di “governance”. Ci troviamo cioè di fronte all’ennesima furbata, vale a dire un’ulteriore declinazione di quel gattopardismo destinato a non tramontare mai.

Ma prima di ogni altra cosa occorrerebbe sgomberare almeno il campo da un equivoco profondo o meglio da un’autentica falsità. Si continua a ripetere cioè da tutte le parti (istituzionali e no) che la televisione è la prima industria culturale del paese. Ma quale cultura abbia prodotto o produca la nostra televisione non è dato sapere. Sarebbe semmai più opportuno parlare di anticultura, di mortificazione di qualsiasi tentativo di ricerca creativa. Forse perché si pensa più che altro al mastodontico esercito dei tredicimila dipendenti o ai budget messi a disposizione di programmi fasulli o ancora ai compensi stratosferici per inetti personaggi, che sarebbe meglio destinare ad “altre mansioni”. Anche qui, come avviene del resto in altri ambiti, si finisce per dare per acquisito quello che acquisito non è e che andrebbe anzi puntualmente criticato, contestato e finalmente rimosso.

Si diceva all’inizio dei programmi: ci aspettano le solite zuppe noiose o indigeribili: giochi a quiz, programmi spazzatura, format acquisiti o copiati da altri con interpreti e conduttori incapaci quando non addirittura rincitrulliti e che non possono far leva nemmeno più sugli ascolti poiche l’audience è calato in tutti i sensi e in tutti i settori, ed anche il pubblico per così dire più accomodante sta progressivamente emigrando, ovvero lasciando le reti nazionali, stanco delle solite tiritere.

Basterà dire che rivedremo volti triti e ritriti in salse rimaneggiate, Caterina Balivo, Francesco Giorgino, Pino Insegno, Max Giusti, e Nunzia de Girolamo -indegnamente autoriciclata dalla politica alla conduzione televisiva- e avremo ancora “Affari tuoi” con lo stakanovista Amadeus, a conferma di quella vergognosa abitudine del balletto infinito (una sorta di quattro cantoni) secondo cui ci si scambia periodicamente i ruoli per un qualcosa che deve restare immutabile, destinato verosimilmente a durare in eterno.

Di questo passo in un prossimo futuro avremo ancora Morandi, Loretta Goggi, la Clerici e così via, chiamati a comparsate di pessimo livello. Ma poi ci saranno i soliti format del sabato sera, le fiction seriali comprate all’estero, anch’esse condite con le solite salse, in un macabro tourbillon di reiterate stupidaggini senza capo né coda. La cultura dovrebbe far capolino nei progammi di approfondimento informativo. Il “Verbo” sarà ancora una volta affidato a Bruno Vespa e a Alberto Angela, poi ritornerà Pif con “Caro marziano” e recuperato in extremis Flavio Insinna, cucendogli addosso una forzata variazione show dell’amarcord della naftalina, Techetecheté.

Qualcuno si consolerà ancora col ritorno di Corrado Augias con “La gioia della musica” e delle allegre svampite di Paola Perego e Simona Ventura, chiamate a ripetere il cliché dei propri personaggi che oramai appaiono più che altro una sorta di tragico autodefè. Ma quel che è peggio è che dovremo continuare a dare credito (credito?) a personaggi buoni per tutte le stagioni e soprattutto ottimi per dire banalità prive di senso, inventate magari damblè, giusto per fare da “spalla” ai politici di turno, anch’essi rianimati per l’occasione e portatori di un mondo che non esiste più.

E nell’eterno teatrino dei pupari ci sarà ovviamente posto anche per i trombati (sindacalisti, ex-magistrati, ecc. ) che non vedono l’ora di apparire ancora in televisione se non altro per avere certezza della propria esistenza in vita.
Sfortunatamente non va meglio altrove: le alternative piu “credibili” sono i pistolotti di Enrico Mentana e di Bianca Berlinguer (riciclata su Rete4), e ancora Nicola Porro (secondo cui ogni giorno succedono in Italia fatti straordinari, da lasciare chissà quale segno, salvo poi scomparire anche mediaticamente nel giro di qualche minuto), le autocelebrazioni contro la libertà di stampa di Augusto Minzolini, le interviste “glamour” dell’immarcescibile Lilli Gruber, mentre non si può non stendere un velo pietoso (non da ora in verità) sui palinsesti delle reti Mediaset.

A ben riflettere, quel sentimento di orrore col quale Conrad chiude il suo straordinario racconto è più attuale che mai anche in questo caso, poiché esso qualifica metaforicamente la vocazione distruttiva del potere (e qui parliamo ovviamente del quarto potere) che alla fine – inevitabilmente – non può non rivolgersi anche contro se stesso.

Saggista e musicologo, è laureato in “Sociologia delle Comunicazioni di Massa”. Tra i suoi libri ricordiamo: Il Canto Nero (Gammalibri, Milano, 1982), Trecento anni di jazz (SugarCo, Milano, 1986), Jazz moderno (Kaos, Milano, 1990), Vesuwiev Jazz (E.S.I., Napoli, 1999), Il popolo del samba (RAI-ERI, Roma, 2005) prefazionato da Chico Buarque de Hollanda, Ragtime, Jazz & dintorni (SugarCo, Milano, 2007), prefazionato da Amiri Baraka (Leroi Jones), Saudade Bossa Nova (Logisma, Firenze, 2017) prefazionato da Gianni Minà, Una storia sociale del jazz (Mimesis Edizioni, Milano 2014), prefazionato da Zygmunt Bauman. Per i “Saggi Marsilio” ha pubblicato l’unica Storia del ragtime edita in Italia e in Europa, in due edizioni (Venezia, 1984 e 1989). Ha scritto tre monografie su: Frank Sinatra (Marsilio, Venezia, 1991) prefazionato da Guido Gerosa, The Voice – Vita e italianità di Frank Sinatra (Coniglio, Roma, 2011) prefazionato da Renzo Arbore, Frank Sinatra, L'italoamericano (LoGisma, Firenze 2021); ed altre su Vinicio Capossela (Lombardi, Milano, 1993), Francesco Guccini (Lombardi, Milano, 1993), Louis Armstrong (E.S.I., Napoli, 1997), un paio di questi con prefazioni di Renzo Arbore. Collabora con la RAI, per la cui struttura radiofonica ha condotto diverse trasmissioni musicali, e per La Storia siamo noi ha contribuito allo special su Louis Armstrong. Tiene periodicamente stage su Civiltà Musicale Afroamericana oltre a collaborare con la Fondazione Treccani per le voci afroamericane. Tra i vari riconoscimenti ha vinto un Premio Nazionale Ministeriale di Giornalismo e quello Internazionale “Campania Felix” per la sua attività di giornalista per la legalità, nonché risultando tra i finalisti del Premio letterario 'Calvino' per l’inedito. Per la narrativa ha pubblicato un romanzo breve per ragazzi dal titolo Easy Street Story, (L’isola dei ragazzi Editore, Napoli 2007), la raccolta di racconti È troppo tardi per scappare (Il Mondo di Suk Editore, Napoli 2013), due edizioni del romanzo epistolare Caro Giancarlo – Epistolario mensile per un amico ammazzato, (Innuendo Edizioni, Terracina 2014, e IOD Edizioni, Napoli 2022), che gli hanno valso il Premio ‘Giancarlo Siani’ 2014, ed il romanzo storico Ballata e morte di un gatto da strada – Vita e morte di Malcolm X (NUA Edizioni, Brescia 2021), prefazionato da Claudio Gorlier, con postfazione di Walter Mauro, e supervisionato da Roberto Giammanco, e Diario di un suonatore guercio (inFuga Edizioni, Anzio 2023). È il direttore artistico del Festival Italiano di Ragtime. Il suo sito è www.gildodestefano.it

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