scritto da Mariano Avagliano - 13 Marzo 2018 10:13

Quel gradevole senso, tutto italico, d’anarchia

foto Angelo Tortorella

Sono al seggio. Nel mio quartiere, a Roma, sono le 13.30 del 4 marzo. Vedo fila. Buon segno. Dopo poco mi rendo conto che si tratta del codice a barre sulle nuove schede. Vabbuò, penso, cmq ci sta fila, tanta. Sempre buon segno.

Inizio a parlare con due signore in coda: il senso di responsabilità di andare a votare. Bella conversazione. Buon segno anche questo. Chissà che non accada qualcosa di razionale. Stavolta.

Sono classe 1982, l’ann r’o mondial mi dicevano da piccolo. Di elezioni ne ho viste tante e dal 2000 partecipo a tutte le tornate ma, sinceramente, non mi ricordo di un risultato, chiaro, che abbia dato, in definitiva e vitte vitte, un vincitore concreto al Paese.

Ad ogni modo, post voto la domenica romana scorre abbastanza serena. Fino ai primi risultati. Alle 23 lo scenario che prende forma è abbastanza divertente: Salvini e Cinque Stelle in testa (a proposito su Cava il 45% delle preferenze) con questi ultimi movimento più votato.

Tempo fa scrivevo del vuoto politico riferendomi all’assenza di cultura politica e di programmi concreti nelle proposte dei partiti e movimenti verso il voto: concretamente, chi ha vinto domenica 4 marzo lo ha fatto in base a nessun tema politico rilevante. La stragrande maggioranza li ha votati perchè ha visto il Cambiamento o semplicemente per la bravura nell’affermare S’ Nanna’i tutt a cas. A tutti questi i migliori auguri perché siano esauditi ma solo a condizione e nella speranza di un contesto migliore per tutti.

Lo scenario post-voto non sembra garantire una maggioranza stabile e consolidata e dunque il tema è demandato al Presidente della Repubblica a cui la nostra Costituzione – non so se più bella del mondo ma senz’altro efficacissima in tal caso – attribuisce la facoltà di avviare consultazioni e assegnare, sperando vi siano le condizioni, il mandato per formare il Governo.

Sgombriamo il campo: il Paese siamo Noi e il Paese si è espresso su chi voleva votare. Adesso toccherà capire se chi è stato scelto avrà la credibilità di una maggioranza a supporto o se invece andremo ad una soluzione tecnica.

Fatto sta che, come sempre, ce la caveremo. E qui sta un Grande tratto del nostro essere italici: laddove anarchia e rinvio delle responsabilità paralizzano, l’Italia anche claudicando, va comunque avanti. Alla fine, per certi aspetti, l’anarchia fa anche un pochettino parte di noi e del modo in cui ci relazioniamo alla comunità a cui apparteniamo. Per tratti, fa anche parte della nostra storia, essere anarchici o meglio insofferenti rispetto a regole costituite che tutti gli altri osservano. D’altronde la democrazia non s’adatta e s’affina ai costumi dei popoli che decidono di farne strumento di governo? Ad ogni modo, ce la caveremo, anche stavolta. Auspicando, magari, che prima o poi usciremo dal guado e potremo essere un Paese capace di guardare al Futuro in maniera leggermente più concreta e disegnata senza, per forza, affidarci alla Protesta.

I migliori auspici di Buon Lavoro, intanto, al Presidente della Repubblica. Ancora una volta a lui di scrivere una pagina di Storia della nostra strana, che dir si voglia, anarchica, cultura democratica.

Ha iniziato a scrivere poesie da adolescente, come per gioco con cui leggere, attraverso lenti differenti, il mondo che scorre. Ha studiato Scienze Politiche all’Università LUISS di Roma e dopo diverse esperienze professionali in Italie e all’estero (Stati Uniti, Marocco, Armenia), vive a Roma e lavora per ItaliaCamp, realtà impegnata nella promozione delle migliori esperienze di innovazione esistenti nel Paese, di cui è tra i fondatori. Appassionato di filosofia, autore di articoli e post, ha pubblicato le raccolte di poesie “Brivido Pensoso” (Edizioni Ripostes, 2003), “Esperienze di Vuoto” (AKEA Edizioni, 2017).

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