Quel gradevole senso, tutto italico, d’anarchia
Sono al seggio. Nel mio quartiere, a Roma, sono le 13.30 del 4 marzo. Vedo fila. Buon segno. Dopo poco mi rendo conto che si tratta del codice a barre sulle nuove schede. Vabbuò, penso, cmq ci sta fila, tanta. Sempre buon segno.
Inizio a parlare con due signore in coda: il senso di responsabilità di andare a votare. Bella conversazione. Buon segno anche questo. Chissà che non accada qualcosa di razionale. Stavolta.
Sono classe 1982, l’ann r’o mondial mi dicevano da piccolo. Di elezioni ne ho viste tante e dal 2000 partecipo a tutte le tornate ma, sinceramente, non mi ricordo di un risultato, chiaro, che abbia dato, in definitiva e vitte vitte, un vincitore concreto al Paese.
Ad ogni modo, post voto la domenica romana scorre abbastanza serena. Fino ai primi risultati. Alle 23 lo scenario che prende forma è abbastanza divertente: Salvini e Cinque Stelle in testa (a proposito su Cava il 45% delle preferenze) con questi ultimi movimento più votato.
Tempo fa scrivevo del vuoto politico riferendomi all’assenza di cultura politica e di programmi concreti nelle proposte dei partiti e movimenti verso il voto: concretamente, chi ha vinto domenica 4 marzo lo ha fatto in base a nessun tema politico rilevante. La stragrande maggioranza li ha votati perchè ha visto il Cambiamento o semplicemente per la bravura nell’affermare S’ Nanna’i tutt a cas. A tutti questi i migliori auguri perché siano esauditi ma solo a condizione e nella speranza di un contesto migliore per tutti.
Lo scenario post-voto non sembra garantire una maggioranza stabile e consolidata e dunque il tema è demandato al Presidente della Repubblica a cui la nostra Costituzione – non so se più bella del mondo ma senz’altro efficacissima in tal caso – attribuisce la facoltà di avviare consultazioni e assegnare, sperando vi siano le condizioni, il mandato per formare il Governo.
Sgombriamo il campo: il Paese siamo Noi e il Paese si è espresso su chi voleva votare. Adesso toccherà capire se chi è stato scelto avrà la credibilità di una maggioranza a supporto o se invece andremo ad una soluzione tecnica.
Fatto sta che, come sempre, ce la caveremo. E qui sta un Grande tratto del nostro essere italici: laddove anarchia e rinvio delle responsabilità paralizzano, l’Italia anche claudicando, va comunque avanti. Alla fine, per certi aspetti, l’anarchia fa anche un pochettino parte di noi e del modo in cui ci relazioniamo alla comunità a cui apparteniamo. Per tratti, fa anche parte della nostra storia, essere anarchici o meglio insofferenti rispetto a regole costituite che tutti gli altri osservano. D’altronde la democrazia non s’adatta e s’affina ai costumi dei popoli che decidono di farne strumento di governo? Ad ogni modo, ce la caveremo, anche stavolta. Auspicando, magari, che prima o poi usciremo dal guado e potremo essere un Paese capace di guardare al Futuro in maniera leggermente più concreta e disegnata senza, per forza, affidarci alla Protesta.
I migliori auspici di Buon Lavoro, intanto, al Presidente della Repubblica. Ancora una volta a lui di scrivere una pagina di Storia della nostra strana, che dir si voglia, anarchica, cultura democratica.