Siamo alle solite! Ogni apertura di anno scolastico porta con sé le sue buone polemiche politiche. Per il 2020 non sono più la mancanza di aule o di docenti o di personale ATA, bensì le nuove polemiche le ha sortite il Covid19, col suo bel carico di problematiche che hanno sconquassato il quadro politico italiano.
Eppure se solo i nostri politici ricordassero cosa affermò nel febbraio 1950, al III Congresso dell’Associazione a difesa della scuola nazionale, Piero Calamandrei, che “iI trasformare i sudditi in cittadini è miracolo che solo la scuola può compiere”, forse si affronterebbe questo ennesimo problema con più senno e ragionevolezza.
Quelle parole, ancora attualissime, ci fanno rivivere con un pizzico di romanticismo questo inizio di settembre che fa da preludio al nuovo anno scolastico. Romanticismo o, se preferite, nostalgia per una scuola che non c’è più e che spesso sale agli altari della cronaca per episodi spiacevoli.
Mai come adesso siamo tutti testimoni di una grave emergenza e non solo culturale. L’incapacità di reazione della società italiana e il senso di sfiducia hanno anche, non dimentichiamolo, un’origine culturale e non solo economica. I giovani sono il nostro futuro e meritano molto di più di una scuola che per molti versi rimane ancora aliena e alienante con le sue attività improntate al voto e non motivate dall’interesse, la competizione tra gli alunni invece che la collaborazione tra di loro, la ricezione passiva delle informazioni e non l’atteggiamento critico di cui i ragazzi avrebbero tanto bisogno per provare a fare un mondo nuovo e diverso. Bisognerebbe mostrare a questi ragazzi chi siamo stati, ma anche chi potremmo diventare ed educarli al linguaggio dell’inclusione.
Il fine ultimo della scuola è, o almeno dovrebbe essere, quello di istruire, formare ed educare a vivere e creare una coscienza critica nei ragazzi per prepararli al mondo che li circonda, come ha saggiamente evidenziato il giornalista statunitense, Sydney J. Harris: “Lo scopo della scuola è quello di trasformare gli specchi in finestre”. Sulla stessa linea Papa Francesco, in un suo discorso di qualche anno fa, proclamava che “educare è un atto d’amore, è dare vita. E l’amore è esigente, chiede di impegnare le migliori risorse, di risvegliare la passione e mettersi in cammino con pazienza insieme ai giovani”.
L’insegnamento non è solo un algido passaggio di informazioni, ma un rapporto tra due esseri umani. La scuola ha bisogno di risorse, non solo umane, che la rendano migliore.
Dunque, c’è molto da migliorare nel sistema scolastico, consapevoli che oggi è ancora più difficile di ieri a causa di questa ennesima tragedia che ha coinvolto l’intero pianeta, tuttavia, è arrivato per tutti quanti il momento di cercare rimedi concreti e di fare della scuola un luogo di resistenza etica. Questo costituisce una sfida cruciale per il nostro Paese!