La compiacenza con il Potere e con le sue incarnazioni politiche e burocratiche rientra nella casistica delle scelte personali.
Si condivide, si contesta, si accetta per necessità o si subisce per codardia. Nella professione giornalistica la capacità di discernimento si misura nel rendere informazioni verificate sia che si tratti delle ragioni di chi governa che di chi ne deve vivere le decisioni calate nella realtà quotidiana.
E’ d’attualità parlarne a fronte delle manifestazioni sulla gestione della Pandemia. Le loro sequenze alimentano dibattiti televisivi e sulla carta stampata, nei quali la figura del giornalista funge da cronista o da opinionista, osservando un dovere professionale ed esercitando, nel contempo, un diritto costituzionale sia nelle vesti di conduttore che di intervistatore.
Mixando l’uno e l’altro genere di contributi è facile indurre chi legge o ascolta a erronee deduzioni, con tanto frastuono tra gli stessi fruitori del servizio sanitario.
É nel trattamento dei materiali raccolti ed in discussione che si distingue il resoconto dalla narrazione, perché sulla loro separazione si fonda il giornalismo di qualità ed indipendente rispetto ai desiderata del Palazzo o della Piazza.
Entrambi i luoghi, salvo devianze autoritarie o eversive, sono, fonti di diritti, tutelati o rivendicati, di garanzie democratiche e di bisogni esistenziali, a prescindere dalle speculazioni. Se c’è dipendenza dal Palazzo o dalla Piazza, per condivisione strumentale o ideologica, la chiave di lettura si comprende dal taglio e dall’enfasi della rappresentazione dei fatti o delle opinioni altrui.
La neutralità, per quanto elevata a mito, non esclude il punto di vista, la ricerca del focus che non può non appartenere al bagaglio intellettuale di chiunque si cimenti, per lavoro o per studio, nel cogliere e rappresentare il senso dei fatti accaduti.
Altra cosa è se il giornalista funge da alter ego degli inquilini del Palazzo o degli agitatori delle Piazze: scadrebbe nel pop dei social i cui ingredienti virali più partecipati si fondano su post di propaganda, contestazione e pettegolezzo che si portano appresso schiere di ammiratori. Fanno spettacolo ed intrattenimento e molta disinformazione, il cui volume cresce (cfr. fenomeno fake news) con il moltiplicarsi dei flussi nei circuiti della rete nella quale i cancelli d’ingresso sono gestiti da algoritmi al posto del giornalista “quale mediatore intellettuale tra il fatto è la sua diffusione” (definizione della Cassazione a sezioni unite).
La sua opera di guardiano poteva essere per gli uomini del potere politico un inciampo, oggi ritenuto rimovibile avendo disponibilità dello strumento tecnologico di comunicare direttamente.
Sul punto si apre la frontiera del controllo e dell’affidabilità delle fonti delle informazioni e della gestione della proprietà dei mezzi di produzione delle reti di comunicazione. In prospettiva è ovvio immaginare svolte culturali mentre le forze in campo, politiche e non, si attardano su usurati modelli di scambi di potere.
L’emergenza pandemica ne può disvelare nuove forme di copertura o di apertura verso diverse traiettorie.
Compiacente o no, resta determinante il ruolo del mediatore culturale dell’informazione veicolata sui media tradizionali, anche nella versione online, o divulgata attraverso i social della rete.