“Ogn’anno, il 2 novembre c’è l’usanza, per i defunti andare al cimitero, ognuno ll’adda fa chesta crianza, ognuno adda tenè chistu penziero’”, scriveva e recitava il grande Totò nella sua più celebre poesia: ‘A livella’.
Certamente non dimenticava le altre ricorrenze dell’inizio di questo mese, tutto preso dal desiderio di istruire il genere umano sulla inutilità delle pompe e della prosopopea che distingue tanti di noi nella vita, e che porta a prevaricare gli umili da parte dei più furbi, dei più potenti, tema tanto caro a tutti noi, ma che spesso dimentichiamo.
Ma non dobbiamo dimenticare che, concentrate nel soli primi quattro giorni di questo mese, che ci accompagna all’inverno, vi sono quattro festività e commemorazioni importanti, il primo la Solennità di tutti i Santi, il due la Commemorazione dei Defunti, e il quattro la Festa dell’unità nazionale e delle Forze Armate, oltre che la celebrazione di un grande Santo come San Carlo Borromeo.
Qualche cosa avrei da dire sul significato delle celebrazioni del quattro novembre, specialmente riferito all’unità nazionale, particolarmente oggi che dopo, il primo governo Conte, e grazie ai suoi vice Salvini e Di Maio, quella unità sembra più scassata che mai, ma questo è un argomento già più volte trattato con il quale non voglio ancora tediare i miei assidui cinque lettori.
Mi preme, invece, accumunare la celebrazione del 2.novembre con quella del 4.novembre, e cioè la celebrazione e il ricordo dei Defunti con quella delle Forze Armate, che in passato tanti sacrifici hanno fatto per la costruzione di questa nostra Italia, e tante morti hanno subito per difendere allora il nostro suolo e ora le nostre vite e la nostra incolumità.
E non c’è bisogno di citare tanti casi e tantissimi episodi per rendere onore alle nostre Forze armate, le quali, con alterne vicende, si sono sempre distinte sia nel nostro paese, sia in Europa, sia all’estero, e non solo in episodi di grande valore come quello di El Alamein, durante la seconda guerra mondiale, ma anche in quelli recentissimi dell’Afghanistan, dell’Iraq, e di tutti gli altri scenari di questa terza guerra mondiale che, come dice Papa Francesco, si sta combattendo a pezzi.
Ma se i sacrifici fatti dalle nostre Forze Armate non vengono personalizzati sembra che si perda la coscienza e il valore che singoli uomini, eroi e vittime del dovere, hanno dimostrato di avere, tante volte in dispregio della loro incolumità.
E’ mia abitudine, in occasione delle due prime festività, quella di Ognissanti e dei Defunti, recarmi al cimitero il 1° novembre, e all’ora di pranzo, giustificando con me stesso che in quel giorno e a quell’ora non trovo confusione, c’è pochissima gente, i parcheggi sono liberi, eccetera eccetera.
La verità è che in questa nostra società caotica, rumorosa, ciarliera e caciarona, le occasioni per stare in silenzio con se stessi e con la propria coscienza sono talmente rare, e quella di stare accanto alle ceneri dei propri cari defunti è probabilmente una delle poche che la vita ci concede; quella pace e quel silenzio ci consentono anche di entrare in contatto con i propri cari deceduti, di parlare con essi, di rinnovare i ricordi lieti e tristi della vita allorquando essi erano ancora vivi; insomma entrare i confidenza con le loro anime che, sebbene, per chi crede che la vita non finisce con la morte, ci seguono sempre, tante volte, proprio a causa della “caciara” che ci circonda, ce ne dimentichiamo.
E nel silenzio pomeridiano del cimitero si ha pure il tempo di soffermarsi dinanzi a qualche cappella cimiteriale, a qualche loculo, leggere qualche epigrafe, magari ricordare qualcuno che avevi conosciuto in vita e poi dimenticato, e fare anche il collegamento tra la celebrazione dei defunti e quella delle Forze Armate.
Com’è avvenuto appunto a me che, nel Cimitero di Nocera Superiore, dove giacciono le ceneri della maggior parte dei miei più stretti familiari, mi sono fermato dinanzi alla tomba di un giovanissimo Carabiniere, morto nel 1992 per compiere il proprio dovere, all’età di soli 23.anni.
Si chiama, mi piace ricordarlo al presente, Fortunato Arena; ventisette anni fa, a Pontecagnano, mentre era di pattuglia con il collega Claudio Pezzuto, anch’egli giovanissimo, aveva solo 29.anni, caddero entrambi vittime di una sventagliata di mitra sparata da due delinquenti fermati per controllo, poi identificati, catturati e condannati all’ergastolo.
I due Carabinieri morirono all’istante, e per il loro sacrificio vennero insigniti della medaglia d’oro.
Fortunato Arena riposa nel cimitero di Nocera Superiore e lo scorso anno sulla sua tomba le autorità cittadine posero una corona di alloro a ricordo del sacrificio compiuto.
Tanti Militi, come il giovanissimo Arena, sono caduti per fare il loro dovere, a volte per essere intervenuti, anche in borghese perché fuori servizio. Come il Tenente Marco Pittoni, trucidato nell’Ufficio Postale di Pagani per sventare una rapina, pure esso insignito della medaglia d’oro; oppure l’altro giovane Carabiniere, Mario Cerciello Rega, accoltellato a Roma qualche mese fa da due giovanissimi e danarosi balordi americani, per un non ben chiarito problema di spaccio di droga: solo quattro dei tantissimi che hanno sacrificato la loro vita.
Ed è certamente importante che l’Arma dei Carabinieri, o la Polizia di Stato, o la Guardia di Finanza, ricordino i loro caduti intestando ad essi caserme, così come tante città fanno intitolando a queste vittime del dovere piazze e strade. Il che non ti ripaga delle loro vite spente da una violenza cieca e insensata, ma quanto meno ti rende il ricordo di essi, come me lo ha reso la tomba del Cimitero di Nocera Superiore.
E giacché ho ricordato le festività di novembre non voglio dimenticare l’altra ricorrenza, introdotta di recente, che cade il 12.novembre, e cioè la Giornata del Ricordo del Militari e Civili caduti nelle Missioni Internazionali di Pace.
Onore ai Militari e agli Agenti della Forze dell’ordine morti per servizio e una prece per essi e per tutti i defunti.