Nostalgie e smarrimenti politico/culturali
Nervosismo, sgrammaticature e supponenza sono riconoscibili nei ritornelli di partiture già orchestrate o in pennellate imprese sulle trame

Nervosismo, sgrammaticature e supponenza
Un anziano signore altolocato nei salotti della finanza e dell’editoria, Carlo De Benedetti, attribuisce atteggiamenti demenziali a Giorgia Meloni, Presidente del Consiglio dei Ministri.
Il presidente del Senato Ignazio La Russa inciampa sull’attentato di Via Rasella e poi si scusa.
Due testate giornalistiche a tiratura nazionale, Repubblica e La Stampa, smaniose di scoop, smentite dal Quirinale “con divertito stupore”.
Tre citazioni, ciascuna delle quali configura momenti di smarrimento culturale e politico dei rispettivi autori. C’è del nervosismo nelle parole di chi ha sponsorizzato formazioni di sinistra, promuovendone le leadership di turno, e si ritrova smentito da un corpo elettorale che premia la destra e la sua leader va a Palazzo Chigi; ci sono sgrammaticature nelle esternazioni di chi con il carico di rappresentanza in capo alla seconda carica dello Stato si avventura in controverse interpretazioni storiografiche, controcorrente rispetto alla ufficialità istituzionalizzata; c’è la supponenza di dispensatori di pensieri politici e di costume che ricorrono all’uso di fake news per continuare ad affermare o non perdere il loro potere mediatico.
Nervosismo, sgrammaticature e supponenza sono riconoscibili nei ritornelli di partiture già orchestrate o in pennellate imprese sulle trame usurate di una ideale tela in cui i tramonti si allungano e resistono alle aurore. Nei citati casi si tratta di mancanza di presa d’atto di un nuovo contesto politico, inedito rispetto ai paradigmi, come si usa dire, della prima e seconda Repubblica, superati, prima, a seguito delle consultazioni politiche del 2018 con l’avvento del M5S, come forza elettorale di maggioranza relativa e poi di Governo, e nel successivo responso delle urne del 22 settembre 2022 in favore del centrodestra condotto alla vittoria da FdI.
Al di là di comprensibili disquisizioni sociologiche, il dato comune in entrambi gli appuntamenti elettorali è individuabile in risposte negative alle offerte dei partiti establishment e positive per formazioni escluse o non configurabili nei modelli praticati nell’arco dei precedenti settant’anni. La fiducia accordata al M5S si è caratterizzata nella forma dell’antipolitica e quella riscossa da FdI come ritorno alla politica, ma con diversi approcci nella raccolta dei consensi: indignazione contro la casta ed il costo della politica è stato l’assunto semantico del M5S; affermazione del primato della politica sulla deriva tecnocratica di poteri alieni, cosiddetti forti, il mantra di FdI.
Nell’arco di spazio temporale della scorsa legislatura il M5S si è disunito nei tre giravolta di alleanze diverse e di esercizio di Governo, ed ora quel che è rimasto in capo alla conduzione dell’ex Premier Giuseppe Conte si colloca in un incerto spazio politico conteso al PD.
La leader di FdI, Giorgia Meloni, saldamente insediata a Palazzo Chigi, ha, finora, superato o dribblato le spine della competizione con gli alleati di Governo ed in prospettiva ha anche da affrontare un prevedibile sbandamento tra le fila di FI, qualora se ne dovesse cambiare la leadership. Ma, la Premier ha anche un problema di semantica mediatica che riguarda l’adeguamento ad un linguaggio istituzionale da parte degli esponenti del suo partito, non tanto per compiacenza o liturgia del politicamente corretto, quanto per dare forza e credibilità alla transizione o evoluzione, che dir si voglia, dei valori ereditati con l’adozione della Fiamma tricolore nella costruzione di un nuovo modello di partito dei conservatori.
Detto con le parole di Giuseppe Prezzolini vuol dire che i cambiamenti politici sono una necessità della storia e che avvengano “con prudenza, con successivi e temperati gradi”, cioè “progresso senza avventure” come recitava uno slogan della DC degli anni sessanta.
In questo contesto di cambiamenti è atteso anche il PD a seguito del ribaltone che ha conferito a Elly Schlein la sua conduzione dalla quale dipendono scelte di campo in termini di priorità e diritti ed il traghettamento fuori dalle acque dei notabilati dalle sfere dei gattopardi di potere.
In sintonia con i desiderata degli elettori, i quali per ben due consultazioni consecutive hanno preferito scelte svincolate dal clientelismo di convenienza, si profilano le condizioni per il superamento di usurate prassi e nostalgie e di riportare il confronto su “cosa è giusto fare” piuttosto che inseguire i sondaggi per “come aumentare i propri consensi”.
Può dirsi un’utopia? Meglio un auspicio che la politica sia una speranza da coltivare come nelle parole virgolettate rilasciate dal Papà Benedetto XVI in “Luce nel mondo” al redattore di Spiegel Peter Seewald.
Giusto ventitré anni fa.
Buona fortuna Italia.