Missione Meloni, pensare l’impossibile ad ogni costo
Missione Meloni, pensare l’impossibile ad ogni costo

È una missione che ha dell’impossibile quella che si prospetta per il Governo presieduto da Giorgia Meloni, il primo della legislatura appena iniziata ed unico nella storia repubblicana per la conduzione al femminile e per colore politico.
Si è insediato in un contesto temporale da far tremare i polsi a fronte di una guerra in corso in Europa e di una crisi energetica che si porta appresso uno spettro di segnali di recessione economica e sociale.
Vi si profila un cammino travagliato sul piano delle relazioni politiche tra gli stessi partner ed impegnativo in sede di assunzione di scelte sostanziali per chiunque sieda a Palazzo Chigi.
Per una congiunzione, potremmo dire astrale, gli attori del passaggio di consegne tra il premier uscente e l’entrante corrispondono a personaggi diversi per cultura e formazione professionale e per percorso politico istituzionale, ma affini in tratti antropologici che ne rivelano un modus operandi determinato e di prospettiva.
È di Mario Draghi lo slogan “whatever it take”, ad ogni costo, lanciato dai vertici della BCE a proposito degli interventi praticati per la salvaguardia della salute dell’euro dalle tempeste finanziarie e ribadito nell’ultimo miglio del mandato di Capo del Governo italiano nelle trattative in sede europea per la definizione del prezzo del gas.
Le relative risultanze e le relazioni internazionali poste in essere, da lui lasciate a futura memoria, sono il primo impegno per i nuovi inquilini di Palazzo Chigi. Da qui parte la loro missione che, per più aspetti, può essere condizionata da uno spartiacque di sensibilità affiorate dall’interno dello stesso schieramento di maggioranza, ma anche tra le opposizioni.
Giorgia Meloni, dal canto suo, ha già manifestato attitudini a pensare l’impossibile (“to’ think the unthinkable” nell’idioma anglofono) quando dieci anni fa ha raccolto i resti della destra ex MSI ed AN, disintegrata dal ciclone berlusconiano e poi emarginata dalla Lega, per dare vita ad un nuovo soggetto politico e culturale, Fratelli d’Italia, divenuto oggi la forza più rappresentata in Parlamento, senza la quale il centrodestra non costituirebbe alcuna maggioranza.
Il consenso riscosso nel corpo elettorale, sestuplicato e quasi doppio di Lega e FI, ha conferito a Giorgia Meloni l’autorevolezza per assumere la.guida dell’intero schieramento e per offrire le necessarie credenziali per l’investitura alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.
E non tanto come ristoro di un esito aritmetico ma anche come riconoscimento di una comunità di valori declinati con parole appropriate e contenute nella Carta costituzionale di una cultura politica di destra artificialmente rimossa dal linguaggio del comune sentire dalla egemonia sinistreggiante, cosiddetta progressista, imperante nella gestione del sistema delle comunicazioni di massa.
Sul punto si può parlare di segnali di svolta manifestati dal basso in alternativa, se non in contestazione, alle pratiche di “archi costituzionali” finora imposti, a prescindere dai consensi elettorali, per l’accesso al Governo della Nazione, per cui oggi ha giurato Giorgia Meloni, e non del Paese, come preferiscono i suoi critici, della cui dizione non c’è traccia nella Costituzione come identità politica e di valori del popolo italiano.
Come dire che è anche una fatica, ma non impossibile, il ripristino di un linguaggio corrispondente al pensiero dei costituenti rispetto alla sovranità che risiede nella volontà del popolo e non di oligarchi di potere non confortati da mandati democraticamente riconosciuti.
Buon lavoro al Governo per quello che farà per il bene della Nazione.
Ad ogni costo.