Mezzogiorno, una parola in disuso nell’agenda politica italiana
Al Sud un giovane su due diserta i riti elettorali
I giovani under 25 non amano la politica: la snobbano o attribuiscono credibilità ad altri poteri? Si tratta di un interrogativo fondato sull’alto tasso di astensionismo sondato da Demopolis, a poco meno di un mese della data delle elezioni.
Il 47% del campione rappresentativo della popolazione giovanile del nostro Paese ha dichiarato di non avere alcuna intenzione di recarsi alle urne contro il 53% di “si”, a sua volta, non decisamente orientato per quale formazione politica votare. A commento dell’indagine, il direttore dell’Istituto demoscopico, Pietro Vento, evidenzia che “la maggioranza assoluta degli intervistati crede che la politica non sia in grado di incidere sulla vita e sul futuro dei giovani del nostro Paese” e che il tasso di disaffezione verso i riti elettorali è più alto nelle Regioni meridionali.
Il che in parte conferma una tendenza storica delle loro popolazioni a diffidare dalle promesse occasionali, interessate ad uno scambio che ha funzionato per i pochi clienti e non a beneficio delle intere comunità locali. Per l’altra parte è possibile argomentare l’analisi del fenomeno sulla consapevolezza della scarsa fattibilità dei progetti di abolizione di tasse e di erogazione di sussidi erga omnes, divenuti il comune denominatore dei programmi esternati da tutte le formazioni in campo, senza specificità per le condizioni socio-economiche ed ambientali riferibili alla diversità dei contesti regionali del Paese reale.
Non a caso l’astensionismo motivato da insoddisfazioni che si registra a Sud riguarda e colpisce tutti i partiti.
Si tratta di una sorta di “no grazie” generalizzato anche rispetto alle blandizie offerte ai giovani per interrompere il loro esodo dal Sud. Come dire che uno su due non crede al paese dei balocchi e non intravede prospettive in un Mezzogiorno, già sedotto ed abbandonato.
La sua “valorizzazione”, cancellata dalla Costituzione del 1948 (Art. 119) a seguito della riforma del 2001, sembra essere divenuta una parola in disuso nell’agenda politica italiana. Il che non cancella i motivi di riflessione sulla tenuta democratica delle relazioni politiche e sociali praticate su un terzo del territorio nazionale.