Lo strano caso del Dottor Jekyll e del Signor Hyde: i due aspetti dell’èthos nella genealogia della morale
Considerazioni sulla Genealogia della morale di Friedrich Wilhelm Nietzsche, attraverso “Lo strano caso del Dottor Jekyll e del Signor Hyde”, racconto gotico dello scozzese Robert Louis Stevenson
Quanto ci interessa affrontare in questa lettura, tramite un ferrato spirito critico, è una esegesi fatta ad uno dei testi dalla maggiore rilevanza filosofica degli ultimi due secoli, “Genealogia della morale”, trattato “polemico” sulla presenza e l’essenza di cioè che noi definiamo bene e male. Tale analisi sarà aiutata dal capolavoro di Stevenson ,”Lo strano caso del Dottor Jekyll e del Signor Hyde”, racconto manifesto della più interessante ambivalenza etica dell’essere uomo.
Lo strano caso del Dottor Jekyll e del Signor Hyde
«Sia sul piano scientifico che su quello morale, venni dunque gradualmente avvicinandomi a quella verità, la cui parziale scoperta m’ha poi condotto a un così tremendo naufragio: l’uomo non è veracemente uno, ma veracemente due.» – Henry Jekyll
L’intero racconto è una trattazione, in chiave allegorica, della tematica dello sdoppiamento della personalità e, più in generale sul subcosciente nel suo senso lato. Il protagonista è il dottor Jekyll, uno stimato medico Londinese che, attraverso i suoi esperimenti, riesce nella creazione di una droga in grado di separare le due ,presunte, nature dell’uomo: una rappresentativa del bene, l’altra del male. Testando il potente farmaco su di sè, si trasformerà così nel limaccioso e sibillino Mr Hyde, personificazione dell’inconscia bassezza morale del dottore. Con il passar del tempo, però, il dottore non riuscirá più a controllare la sua controparte, trovandosi costretto a sopperire tale mancanza utilizzando sempre più frequentemente il “farmaco”. I mesi passano a Londra, fino al verificarsi di un efferato delitto, di cui Hyde é il colpevole. Il dottor Jekyll, affiliato all’immagine di Hyde, è interrogato sulla sua scomparsa, dichiarando che i suoi rapporti con lo stesso si sono del tutto interrotti. Seguono i mesi, nei quali Jekyll riprende la vita mondana che era stato costretto ad interrompere, previo dal rinchiudersi nel suo laboratorio. Giunge così una sera in cui il suo domestico, preoccupato per le grida provenienti dallo studio del medico, si reca da Utterson, legale e amico di Jekyll. I due sfondano la porta dello studio del dottore e trovano Hyde morto e con indosso gli abiti del dottor Jekyll. Il dottore aveva preferito, alla totale sopraffazione della sua indole “malvagia”, la morte per sua stessa mano, lasciando una nota che chiarisse l’intera faccenda.
La Geneaologia della morale
Il primo rimando letterario al racconto di Stevenson è sicuramente l’opera, pubblicata un anno dopo, di Friedrich Nietzsche, la sua “Genealogia della morale”. In sè l’opera racchiude tre dissertazioni, in questa istanza però è nostro interesse trattare solo la seconda, inerente al concetto di “buono” e di “malvagio” nella sua accezione più “naturale” e trascendentale, verte sulla psicologia della coscienza. La più antica umanità ha fondato la propria giustizia sulla compensazione dell’atto trasgressivo. Questa compensazione era attuata tramite azioni violente, esemplificate nelle condanne a morte, nell’idea fondamentale che la violenza fosse qualcosa di naturale, di spontaneo nell’uomo quanto nelle bestie selvatiche. In questo senso, la crudeltà non aveva bisogno di giustificazioni, e il danneggiato poteva esigere dal danneggiatore una pena brutale senza che la sua coscienza ne fosse inorridita. Tale status è facilmente esemplificato dal concetto di “Psicologia delle folle” di Gustave Le Bon, del quale consiglio assolutamente la lettura, il senso di colpa veniva letteralmente instillato con l’esempio della fine orrenda riservata a tutti i trasgressori, anche se a provocare questo sentimento di colpa non era l’origine ma solo lo scopo finale della pena: la commisurazione della pena era stabilita da quanti avevano potere. Per Nietzsche, contrariamente ai contemporanei genealogisti del diritto, il criterio di giudizio del reo non era prestabilito con una sorta di contratto tra libere persone; solo i “forti”, tutti quanti avevano maggiore volontà di potenza, in virtù della loro superiorità rispetto alla massa di impotenti, erano in grado di stabilire ciò che fosse giusto e sbagliato. Alla coscienza della colpa, assolutamente vicina agli ultimi momenti della vita del Dottor Jekyll, invece, ha contribuito in maniera preponderante il timore reverenziale dell’uomo antico per gli antenati e gli dei, tematica che però al momento non è nella nostra sfera di pensiero. Quanto deve interessarci è invece la naturalezza con la quale il bene si manifesta nella nostra interiorità, la presenza dello stesso implica la presenza del suo contrario, e vive in modo analogo nella struttura sociale dell’essere al mondo. Il suo essere una condicio sine qua non dell’essere, rende la sua soppressione, come nel caso figurato del racconto trattato precedentemente, un’inevitabile condizione dove la prima assoggetterà la seconda.
Al bene e al male
L’idea del male come antitesi del bene e dell’essere, ossia come non essere, prende vita attraverso lo stoicismo, il quale asserisce che il male non esiste in sé, in quanto privazione del bene. Il male si potrebbe dunque definire una proprietà congenita della natura umana, sintomo di un uso disordinato del libero arbitrio. Ma è effettivamente possibile definire per via negativa, ovvero assumendo cosa esso non sia o a cosa esso sia opposto, un fenomeno così rilevante quale quello del male?
Come si può sopperire al costante conflitto tra i Freudiani istinti di vita e di morte? In che modo si può, senza conseguenze e senza inoltrarci in dilemmi etici di sicuramente più alta levatura, definire una parte “vincente” tra le due? La risposta all’annichilimento dell’iniquità che si cela in ognuno è forse presentata proprio dal racconto dello scrittore scozzese: non si può, e nella lotta tra le parti la vicenda termina con la morte d’entrambe. L’essere trova la sua stessa essenza nella perfetta coesione di ognuna delle sue parti, nel continuo scorrimento delle sue diversità e dei suoi opposti. Nella costante ricerca di un’etica che possa epurare l’uomo dalla sua parte più “abbietta”, si tende spesso a dimenticare che l’uomo trae la sua perfezione nella sua propria imperfezione, non possono esistere in un mondo che è assolutamente soggettivo, e quindi rappresentazione del soggetto, delle classificazioni coerenti su cosa possa essere definito “bene” e cosa possa essere definito sua antitesi. Nello spirito della diversità ogni cosa vive grazie alla presenza di un suo opposto, ed ogni cosa può essere conosciuta attraverso un qualcosa che in qualche modo le appartiene, la vita stessa è la testimonianza che il bene è una forza inarrestabile, mentre il male un oggetto inamovibile, l’unico scontro per la quale è, effettivamente, impossibile decretare un vincitore morale.—–+