La comunicazione di massa ci ha fatto diventare, chi più chi meno, (e verrebbe da dire purtroppo) consumatori attivi e passivi di pensieri e parole lanciati più che proposti a ritmo continuo e spesso senza un’adeguata misura di riflessione. Ci dicono, ormai da troppo tempo, che il mondo va così, che è necessario farsi ascoltare e allora più si alza la voce e meglio è o almeno si crede di poter avere, così facendo, una speranza di successo, o anche solo di “accesso” presso gli altri.
Si grida (e anche sgrida) a più non posso e pressoché in ogni occasione. Paradossalmente accade però anche che ciascuno di noi più che comunicare e conseguentemente dare e ricevere informazioni e punti di vista, mira unicamente ad esprimere se stesso attraverso parole e suoni. Si manifesta allora, rabbia, malumore, dissenso, timore quasi sempre a senso unico, senza misurarsi con gli altri, avviando un procedimento che è per così dire l’esatto contrario di un ragionamento filosofico che ha lo scopo di far capire ma soprattutto di intendersi scambievolmente. I mezzi di comunicazione di massa tradizionali, la carta stampata e la televisione, ci sparano letteralmente addosso migliaia e migliaia di notizie attraverso i loro paladini di sventura quasi sempre ignorando che si tratta di dati, notizie e circostanze in massima parte ancora da verificare, bisognosi cioè di passare al vaglio di ulteriori accertamenti. Chi non è per così dire provvisto di un accesso ufficiale alle reti comunicative dispensa vorticosamente pensieri, parole e considerazioni nei vari social e blog, tanto è vero che è diventata ormai straripante la professione appunto del blogger che nella nostra lingua non sapremmo nemmeno tradurre, o trovare un equivalente esplicativo, giusto per capire esattamente di cosa si tratta. Ma ancora una volta – e questo è un caso di scuola – ciò che più conta non è la certezza di un’identità ma l’imposizione di una presenza.
A farci caso, sembra davvero di essere entrati in una nuova éra, quella dell’espressione unidimensionale, che è poi ciò che verifichiamo ogni giorno. Non che manchino per così dire i contrasti o le opposizioni ma il fatto è che nessuno ne tiene conto, ovvero nessuno ha voglia di prestare attenzione, o solo di prendere in considerazione il pensiero dell’altro: in barba viene da dire a qualsiasi politica (o anche solo aspirazione) di integrazione, cooperazione, solidarietà, ecc. ecc. Il paradosso è che malgrado tutto questo, non ci vengono fornite né siamo in grado (o forse non ne abbiamo voglia) di prendere in esame quei dati e quelle notizie su cui occorrerebbe riflettere per davvero, avviare un confronto per una soluzione dei problemi che quelle notizie riferiscono. L’elenco è lunghissmo ma pare non interessi nessuno, tanto è vero che continuiamo a dibattere sulle solite cose, forse anche per esorcizzare altre paure o chissà cos’altro ancora.
Viviamo certamente ormai nella civiltà (civiltà?) delle chiacchiere. Registriamo cioè il predominio assoluto di quei “pamphlets” referenziali e propagandistici il cui avvento preconizzò, occorre dire con straordinaria intuizione, il grande Leopardi negli anni del soggiorno napoletano allorché ne scrisse (usando volutamente il termine inglese, esempio unico in tutta la sua produzione poetica) nella illuminante “Palinodia”. Sta di fatto che al giorno d’oggi nessuno vuole stare zitto perché tutti ritengono di aver cose di valore da dire (salvo poi che nessuno le ascolta). Basta entrare in una classe di una qualsiasi scuola od anche un’aula universitaria o parlamentare per rendersi conto della “caciara” che si registra e del disinteresse con cui la predetta “caciara” viene recepita dagli altri. Sarebbe quanto mai produttivo oltre che necessario ritornare ad un operoso silenzio se non altro per cercare di capire e comportarsi di conseguenza. E qui viene in mente il finale/testamento dell’ultimo film di Federico Fellini, “La voce della luna”, allorquando il protagonista invita chiaramente ad abbassare i toni perché “se tutti facessimo un po’ di silenzio forse potremmo capire”.
Ecco: paradossalmente non siamo più in grado di comunicare proprio mentre ci illudiamo di “gridare” ai quattro venti i nostri pensieri.