Le rughe del moralismo ideologico
In questo senso si coglie il significato della questione morale posta da Enrico Berlinguer come diversità della sinistra comunista rispetto
“I moralisti sono aspiranti peccatori, a cui è mancata l’offerta”.
È uno dei tanti aforismi del poeta statunitense Charles Bukowski che circolano nel web tra le strisce della dolce ironia di Snoopy. La sua citazione ha qualcosa di amaro nel retrogusto dei racconti delle vicende di corruzione che investono figure e personaggi investite di rappresentanze istituzionali che, per dovere costituzionale, dovrebbero “adempierle con disciplina ed onore”.
Spesso la cronaca corrente rende casi di tralignamento, singoli o ad ampio spettro, a seconda che la devianza sia il portato di patti corruttivi bilaterali o sistematici. É sul punto che la tentazione o la commissione del “peccato”, al di là delle condotte penalmente sanzionabili, possono assumere valenze etiche diverse: malaffare comune se ha per attori dei marioli, politico se dovesse configurarsi in prassi nei circuiti delle relazioni istituzionali.
In questo senso si coglie il significato della questione morale posta da Enrico Berlinguer come diversità della sinistra comunista rispetto ad altre forze politiche: una stimmate esibita per anni sotto diverse sigle e simboli.
I loro portatori, rimasti fuori dalla temperie giudiziaria della tangentopoli che ha sconvolto e cancellato un assetto partitocratico perpetuatosi per circa mezzo secolo, hanno conservato il “santino” berlingueriano fino a quando non sono inciampati nell’euroscandalo del cosiddetto Qatar-gate che piomba nel dibattito che sta precedendo il congresso costituente del PD e non sia esploso, in casa di Si/Verdi, il caso del parlamentare sindacalista con gli stivali Aboubakar Soumahoro.
Si tratta di storie diverse per genesi e tipologia di illegalità e di reati contestabili, ma che hanno una comune matrice nel cattivo trattamento del denaro pubblico e radici nella presunzione ideologica di stare dalla parte politica al di sopra di ogni sospetto di stupro delle istituzioni. Finché non si presenta l’occasione può anche valere l’aforisma andreottiano secondo il quale l’esercizio del potere logora chi non ce l’ha, ma non previene le rughe morali rese dalle lunghe permanenze nella stanza dei bottoni.
Le élite ispirate dalla sinistra ideologica ne sono state inquiline per oltre un decennio, a prescindere dai consensi elettorali.
Ora, per consenso elettorale, sono subentrati donne ed uomini che hanno nel loro Pantheon un altro “santino” per etica delle istituzioni: Giorgio Almirante per il quale Indro Montanelli nel 1988 disse “se ne è andato l’unico italiano al quale si può stringere la mano senza paura di sporcarsi”.
Anche da loro ci si aspetta meno moralismo e di affidarsi, con umiltà, all’aforisma della preghiera a Colui che “non abbandona o non induce in tentazioni, ma libera dal male”.