Le ore che stiamo vivendo, dopo la mancata nascita del governo M5S-Lega, sono a dir poco drammatiche e preoccupanti per i possibili riflessi negativi interni ed esterni. Forse, ma ci auguriamo di sbagliare, sono tra quelle più buie vissute dalla nostra Repubblica, che ne ha passate tante, alcune tremendamente tragiche e sanguinose, come quelle, per certi versi e fatte le dovute proporzioni, della bomba di Piazza Fontana, degli anni di piombo e delle stragi, del rapimento e delitto Moro o di quelle che hanno costellato la lotta alla mafia, dall’uccisione del generale Dalla Chiesa agli attentati di Capaci e via D’Amelio, dove persero la vita i giudici Falcone e Borsellino con le loro scorte.
Perché questo accostamento con vicende così terribili? Il motivo è semplice: il controllo della situazione potrebbe sfuggire di mano e lo scontro istituzionale e politico cui stiamo assistendo, e che mai si è verificato nel nostro Paese, potrebbe trasferirsi su altri piani. Su quello finanziario ed economico, ma anche nelle piazze. Per ora la rissa si è spostata, virtualmente, sui social, dove impazzisce il vomitatoio pro e contro Mattarella. E fin qui, la cosa può risultare antipatica e volgare, ma più che infiammare gli animi non succede.
Preoccupazioni eccessive le nostre? Ci auguriamo di sì. Gli spettri degli anni giovanili, vissuti nella paura, negli odi e nella violenza della contrapposizione politica e degli opposti estremismi, affiorano, purtroppo, in modo insopprimibile come il più banale e lacerante dei riflessi condizionati.
Proprio per questo, è consigliabile, in questo delicato frangente, suggerire a tutti di moderare i toni, insomma, affermare sì le proprie opinioni e confermare le proprie posizioni politiche, senza per questo, però, esacerbare gli animi e aizzare le piazze. Questo vale per tutti, da destra a sinistra. A cominciare dalla proposta Di Maio di impeachment del Presidente della Repubblica per alto tradimento o per attentato alla Costituzione. In pratica, ciò equivale a gettare benzina sul fuoco. E non si capisce a vantaggio di chi.
Al contrario, è necessario mettere in campo responsabilità ed equilibrio per far sì che il confronto politico sia duro e serrato, ma comunque civile e rispettoso della dignità della persona oltre che rientrare nell’alveo delle regole della democrazia. E, soprattutto, evitare rovinose derive.
Detto questo, alcune considerazioni sono doverose.
Si può non essere d’accordo, ma appare scontato che il presidente Mattarella ha esercitato appieno, e con impegnativo coraggio, quelle che sono le sue prerogative costituzionali.
Ciò non toglie, però, che questa sua scelta è molto divisiva, ma soprattutto ha una forte caratterizzazione politica. In altri termini, Mattarella sembra aver smesso i panni dell’arbitro ed è sceso in campo direttamente, tanto da essere lui la parte che si contrappone. Insomma, si è trasformato nell’avversario diretto ed immediato della maggioranza parlamentare espressa da Cinque Stelle e Lega.
Ciò vuol dire esporre il Quirinale ad ogni tipo di attacco politico, a rendere poco credibile se non invisa la presidenza della Repubblica a buona parte del popolo italiano. E questo non va proprio bene, in quanto incrina ancor più il rapporto tra cittadini, politica ed istituzioni, indebolendo rischiosamente la nostra democrazia.
L’impressione è che il presidente Mattarella si è ficcato in una situazione che, nel giro di pochi mesi, per lui potrebbe rivelarsi insostenibile. Gli scenari politici che si prefigurano, infatti, sono abbastanza prevedibili, almeno all’apparenza e ad oggi. Vale a dire, nascerà un nuovo esecutivo di tecnici guidato da Cottarelli, ma che non dovrebbe avere la fiducia delle camere. In altre parole, dopo l’aborto del governo gialloverde, nascerà un governo morto che ci porterà alle elezioni. Se, come oggi suggeriscono i sondaggi, la vittoria arriderà ad una Lega ancora più forte di adesso e ad un M5S che dovrebbe almeno mantenere i suoi voti, al Quirinale salirebbe da premier in pectore un certo Matteo Salvini. A questo punto a Mattarella cosa resterebbe da fare? Chinare la testa o dimettersi.
A tutto ciò, si aggiunge una sgradevole sensazione sempre più diffusa, ovvero che viviamo in un Paese a sovranità limitata, sotto tutela esterna, tanto da far sembrare del tutto inutile andare a votare e manifestare democraticamente delle volontà che poi nei fatti vengono disattese. E non da adesso, ma da quasi un decennio.
In conclusione, a parte quello che accadrà già da oggi sui mercati finanziari, dove il nostro Paese non brilla per il suo fardello di debito pubblico, la politica italiana si sta sempre più fatalmente avvitando, attorcigliando in modo a dir poco inestricabile. E con essa il destino sempre più incerto del nostro Paese, della nostra economia, del nostro sistema produttivo, del futuro nostro e dei nostri figli.
Di sicuro, il presidente Mattarella ha esperienza, conoscenze e informazioni di gran lunga superiori a quelle che disponiamo noi, tuttavia, fino a prova contraria, forse avrebbe fatto meglio a trovare un accomodamento e a far nascere questo governo. Forse non sarebbe durato più di qualche mese. Forse non avrebbe avuto il tempo per arrecare danni irrimediabili. Forse poteva dimostrare di operare bene o almeno non del tutto male, fugando così i dubbi che da più parte, forse anche tra i suoi stessi elettori, lo accompagnavano.
Insomma, un aborto resta tale, doloroso e traumatico, finanche quando lo si vuol far comunque passare per terapeutico.
Speriamo bene, ma i mesi che verranno saranno torridi e non solo per l’arsura estiva. Quello che stiamo rappresentando è un quadro a tinte troppo fosche? Probabilmente sì, ma sembra anche essere il più plausibile. Ad ogni modo, a questo punto è preferibile di gran lunga tornare alle urne il più presto possibile. Sperando che serva a qualcosa, e non come quest’ultima volta.