L’armata della cancel culture
In Italia i venti della cancel culture si subodorano o forse sono solo temuti. A farne le spese fu la statua di Indro Montanelli.
La cancel culture, ossia la cultura della cancellazione, è come un’armata senza generale né comandante, i cui militanti imbracciano revisionismo e censura. Negli USA essa ha troncato la carriera ad attori e mutilato opere.
Nella morsa ci sono finiti Kevin Spacey, i libri di Roald Dahl e nemmeno “Via col Vento” ne è uscito illeso. Questi ed altri casi.
Il modus operandi è semplice: si volge lo sguardo al passato e si abbatte la possente mannaia dell’inclusività su tutto ciò che è reputato irrispettoso verso una categoria. Il risultato è un boicottaggio retroattivo, un ostracismo totalitario fino all’onta della damnatio memoriae.
In Italia i venti della cancel culture si subodorano o forse sono solo temuti. A farne le spese fu la statua di Indro Montanelli. Ma di fatto si trattò solamente di un tentativo maldestro di offuscarne la memoria.
Perché, in effetti, l’armata della cancel culture non attecchisce in Italia. Il politically correct sibila nella nostra società senza affondare i denti, agita la sferza fendendo l’aria ma non le carni.
L’immissione dello “schwa” – la “e” capovolta che introduce nella lingua italiana il genere neutro – è un vezzo tra pochi intimi, le quote rosa cominciano ad essere finalmente demodé (la Meloni e la Schlein sono i baluardi dell’affermazione femminile in politica) e Pasolini viene ancora raccontato nelle scuole.
L’Italia al momento sembra immune dall’ostracismo della cancel culture. Il nostro Paese forse, in cuor suo, sa che cancellare il passato per indorare il presente è esercizio infecondo e non fa che produrre generazioni culturalmente miopi.
6.03.2023 – By Nino Maiorino – Complimenti a Pierpaolo Durante, ha evidenziato una tendenza che, sebbene in Italia non sia ancora attecchita, è comunque pericolosamente latente; in futuro dovremo essere molto attenti per contrastare questo fenomeno perverso.