La rielezione di Sergio Mattarella e il fallimento della politica dei partiti
La rielezione di Sergio Mattarella e il fallimento della politica dei partiti
La politica italiana con la rielezione a presidente di Sergio Mattarella è tornata, come nel gioco dell’oca, alla casella di partenza.
Sgombriamo il campo dagli equivoci: la soluzione di rieleggere Mattarella ci pare, non solo per come si erano messe le cose, la migliore possibile. In un solo colpo, restano al loro posto Mattarella e Draghi. Almeno per un anno, se non di più, Mario Draghi resterà a Palazzo Chigi al governo del Paese. Non è cosa da poco in un momento così delicato come quello attuale, dovendo mettere il fieno in cascina con i danari del PNRR.
Ciò detto, non si può non evidenziare come si è arrivati a costringere Mattarella a restare al Quirinale per altri sette anni, nonostante che l’interessato in tutte le salse aveva fatto capire di non volere la rielezione.
E’ indubbio che la classe politica italiana ha dimostrato tutti i suoi limiti e l’evidente incapacità di trovare un degno successore di Mattarella. Di sicuro ce n’erano, ma gli interessi di bottega con i veti incrociati e le modalità con cui si è cercato di individuare i candidati, hanno fatto terra bruciata, sancendo il fallimento della politica.
Su tutti, ha brillato l’imperizia, la totale inadeguatezza di Matteo Salvini. A quanto sembra, il leader leghista ha avuto talmente le idee chiare che si è lanciato alla ricerca dei candidati alla stregua di un casting con tanto di provini per uno spettacolo televisivo. D’altro canto, anche in questi giorni, Salvini quando ha risposto alle domande dei giornalisti è stato a dir poco imbarazzante. Non è riuscito a far trasparire un minimo di decoro istituzionale. Al contrario, è apparso dozzinale, trasudando molta ignoranza. Ignoranza politica e istituzionale. E tanta boria da bar dello sport, ma nessuna sostanza. Una tristezza.
I risultati, disastrosi, si sono visti. Da quello che lui stesso ha raccontato, se ne ricava l’impressione di un ragazzotto sprovveduto e non particolarmente sveglio, che è stato mandato a comprare il pepe. Si è rivelato un confusionario, un inaffidabile pasticcione, molto bravo a scontentare se non addirittura a tradire i suoi alleati del centrodestra, Fratelli d’Italia e Forza Italia.
Già, il centrodestra. Da queste elezioni presidenziali ne esce malissimo. Sconfitto, ma soprattutto diviso. E’ troppo presto per parlare della fine politica del centrodestra, che comunque è ancora maggioranza nel Paese e ha il collante del potere di governare la maggioranza delle regioni. Di sicuro, però, è finita una stagione, quella che ha visto la guida del suo fondatore, Silvio Berlusconi. Ed è altrettanto sicuro che le scorie velenose di queste giorni influiranno non poco sul suo assetto futuro e sulla sua tenuta tanto politica che elettorale.
Allo stesso tempo, brindare alla nascita di un nuovo centro è certamente una prospettiva che al momento ci pare poco credibile e soprattutto assai frettolosa ed eccessiva.
A uscirne acciaccato è però anche il centrosinistra.
Il Pd, paralizzato al suo interno, si è salvato in modo quasi fortuito e giocando di rimessa. Il suo segretario Enrico Letta ha mostrato una totale carenza di iniziativa e di leadership. Il Pd di tutto ha bisogno fuorché di un novello Fabio Massimo il Temporeggiatore. Il problema vero, però, è che nel Pd contano più i capi corrente e i ras locali che il segretario nazionale del partito. Peggio di come accadeva alla DC.
I Cinque Stelle, dal canto loro, sono alla sbando, divisi e con un leader, Conte, che nei fatti conta quanto il due a briscola. Chi comanda per davvero è Luigi Di Maio, sempre più a suo agio nei panni di un democristiano di scuola andreottiana.
Dicevamo, la politica ha fallito in modo clamoroso. Hanno toppato i leader dei partiti, tant’è che a imporre la rielezione di Mattarella sono stati i Grandi Elettori. Da questo punto di vista a uscirne bene è stato il Parlamento, che si è preso la scena dopo che i partiti giravano a vuoto. Anche per la paura di quasi tutti i parlamentari, è giusto evidenziarlo, di andare al voto anticipato la prossima primavera.
L’auspicio adesso è che il governo Draghi torni a lavorare bene, dopo che in questi ultimi mesi, distratto dai giochi per l’elezione presidenziale, ha lasciato un po’ a desiderare. I veleni, le tensioni e i contrasti di questi ultimi giorni, però, difficilmente non incideranno sull’azione del governo. Draghi, in breve, sarà chiamato ad esercitare un supplemento di autorevolezza. Speriamo bene.
“La grave emergenza che stiamo tuttora attraversando sul versante sanitario, su quello economico e su quello sociale richiamano al senso di responsabilità… queste condizioni impongono di non sottrarsi ai doveri cui si è chiamati, e naturalmente devono prevalere su altre considerazioni e su prospettive personali differenti, con l’impegno di interpretare le attese e le speranze dei nostri concittadini”.
Queste, ieri sera, le parole del presidente della Repubblica Mattarella dopo la sua rielezione. Speriamo che siano scolpite anche nei cuori dei nostri governanti. L’emergenza non è finita e la ripresa è tutta da realizzare. La politica non lo dimentichi. Nei prossimi mesi, soprattutto. Quelli che ci separano dalle prossime elezioni politiche.